venerdì 25 settembre 2009

IL REPORTAGE DEL SEMINARIO DAL FALERNUM AL FALERNO DI MONICA PISCITELLI PER LUCIANO PIGNATARO WINE BLOG

Una mattinata davvero didattica e affascinante


La straordinaria storia del Falerno
25/09/2009

di Monica Piscitelli
Mondragone: annunciata la scoperta di un fossile di vite romana
Alle origini della viticoltura mondiale

Tutti certamente hanno sentito parlare, almeno una volta nella vita, di un tal vino Falerno, “un vino antico”. Ma pochi davvero lo conoscono. Si nomina, in genere, Plinio il Vecchio, si rievoca qualche immagine rubata a mosaici, vasellame e affreschi delle ville patrizie, ma, eccetto una ristretta cerchia di addetti al settore, la gran parte perfino degli appassionati più motivati, ignora, in fondo, questo testimone storico della viticoltura campana e dell’alto casertano. Il fatto in sé non sarebbe così grave, se non fosse che, il Falerno è il padre di tutti i vini d’Italia e il primo vino a denominazione di origine dell’Umanità. Ad affermarlo sono le fonti storiche e alcuni studi recenti. A loro si aggiunge, da qualche anno, la voce di 21 produttori che in questo fenomenale pezzo di storia nazionale hanno creduto, dando vita ad una produzione che è ora di valorizzare. “Sarebbe da stupidi non farlo” ha detto il ministro Mario Landolfi, in conclusione del seminario di studio dal titolo “Dal Falernum al Falerno”, promosso a Mondragone (Caserta) da Agrisviluppo, azienda speciale della locale Camera di Commercio e moderata dal giornalista de il Mattino Luciano Pignataro.

Da questa volontà, condivisa dall’assessore regionale all’Agricoltura Gianfranco Nappi, che ha promesso il supporto della Regione ad un’iniziativa a favore del Falerno e per la realizzazione di Museo ad esso dedicato a Mondragone “che veda la rete delle associazioni e tutti i produttori insieme”, ha preso le mosse la suggestiva ricostruzione scientifica proposta dall’Archeologo Luigi Crimaco, dall’Agronomo Nicola Trabucco e dal Professore Luigi Moio. Storia, suolo e pratiche enologiche legate al Falerno sono state descritte con grande dovizia di particolari. Per capire, insomma, e di lì, passare all’azione. Azione, che il presidente di Agrisviluppo Giuseppe Falco, ha articolato in tre proposte che l’Azienda si attiverà per realizzare: un vitigno sperimentale che, sul modello di quello di Pompei, ma su suoli demaniali e con risorse pubbliche, faccia rivivere il Falerno come era piu’ di 1500 anni fa; una Fondazione che riunisca tutti i produttori e che sia il motore delle iniziative; e, infine, il Museo del Falerno in una sede prestigiosa.La storia del Falerno è la storia di Roma imperiale, di una Roma al top della sua potenza, che in Campania fece di questo vino scopo e risultato di un’alacre attività che arricchì le casse dell’Impero e che fece oltremodo diventare ricchi i coloni, per lo piu’ soldati in congedo, che, in quel fazzoletto di terra dell’Ager Campanus, si stabilirono a fronte della concessione di piccoli appezzamenti. E’ questo l’Ager Falernus; oggi ancora identificabile con il triangolo di terra esposto a Sud, compreso tra Carinola, Capua e il Massico. Fino all’antica Sinuessa, l’odierna Mondragone.Qui, una dietro l’altra, è stato spiegato, sorse un incredibile numero di aziende, almeno 150, e grandi ville le cui rovine è stato possibile recuperare e studiare fino al ritrovamento, tramite sofisticate indagini ancora in corso, dei pollini della vite coltivata all’epoca e di una serie di resti fossili di alghe e dei tutori che la sostenevano (olivi, pioppi e noccioli, principalmente), nonché di altre piante (leguminose principalmente), che erano funzionali alla coltivazione della vite per il loro contributo in azoto. “Si tratta - ha detto Luigi Crimaco, in conclusione dell’intervento che ha aperto i lavori - di una straordinaria scoperta che sarà presto oggetto di una attività di pubblicazione scientifica di rilievo internazionale”.

Ma perché il vino amato da imperatori e re proveniva proprio da queste terre? Esposto al sole o affumicato, trattato e aggiustato per correggerne il sapore acido e amaro che aveva; con polveri di marmo, argille, albume d’uovo (chiarificatori del tempo); con acqua di mare; con miele e spezie varie – come ha raccontato Luigi Moio, che ha concluso la serie di relazioni scientifiche - il Falerno dei romani era una bevanda molto diversa dal quello odierno. “Eppure era solo quello prodotto qui, a risultare il piu’ gradito e richiesto” ha concluso il Professore.Sulla stessa linea i risultati presentati da Nicola Trabucco, frutto di una campagna di prelievi e analisi condotta tutto intorno al Massico che mostra come sull’impianto di base calcareo-dolomitico del massiccio, un’importante influenza abbia avuto l’attività del vicino vulcano di Roccamonfina.
Ed ecco, ha dimostrato Trabucco, che i terreni ora sciolti, ora a medio impasto, ora piu’ argillosi, rilevati, associati ad una serie di felici condizioni legate ad altri parametri (capacità di scambio, colloidi e sostanze organiche), fanno di quel triangolo di terra un territorio unico e particolarmente vocato alla coltivazione della vite e alla produzione del Falerno.“In assenza di un significativo intervento dell’uomo nella vinificazione del vino, fondata, all’epoca, su una serie di pratiche poco piu’ che empiriche - ha sottolineato ancora Moio - è il microclima, a fare la differenza”. Un concetto che i francesi hanno fatto proprio molti secoli dopo coniando la parola “terroir”. Insomma, per dirlo ancora con le parole professor Moio “in questo territorio i romani arrivarono alla definizione del primo cru al mondo”. E lo fecero ad esso dedicando non solo le uve migliori, ma anche dotandolo di contenitori adatti (le anfore, partite da Puteoli e ritrovate perfino alla Foce del Fiume Mekong) e indicando, puntualmente, la provenienza, l’annata e il nome del produttore.

Ma anche differenziando i vini in Asterum (forte), Dulce (dolce) e Tenue (leggero), con riferimento alla struttura, in Caucinum (Altocollinare), Faustianum (Pedecollinare) e Falernum (Pianura) in base all’esatta collocazione e provenienza. Una storia incredibile, insomma, da approfondire e alla quale appassionarsi. Se lo avevate mai sentita, adesso, ignorarla significherebbe dimenticare un pezzo di voi.

mercoledì 23 settembre 2009





Mercoledì 30 Settembre 2009
Si riparte!!!!!!

30 Settembre - 1° Incontro –


Mercoledì 30 Settembre si riparte!!!!!!!
Una serata dedicata ai formaggi dal tema:
“Muffe indotte e muffe di evoluzione”
Ore 21,00
Sponsor per i vini
Mario Ercolino ,
Patron dell’Azienda Vinosia ,
ci accompagnerà
raccontandoci i suoi vini,
Fiano
Doceassaje (greco e fiano)
Neromora (aglianico)
Marziacanale (aglianico)
Roceroce (greco e fiano passito)

Il menù della serata
a cura dello Chef Luca Pipolo:

Bocconcini tiepidi alle acciughe
e Monteveronese
_________
Risotto con ortaggi di stagione
e salsa di pecorino
_________
Gamberoni all’angostura e
Fontina Dop
__________
Selezione di formaggi:
Roquefort-Cabrales-Gorgonzola Dop-
Castelamgno Dop-Toma erborinata
____________
Dama bianca agli amaretti

Durante la serata ,
il M° Assaggiatore
Salvatore Varrella,
responsabile della Delegazione
ONAF di Napoli, dimostrerà
praticamente come si produce il
formaggio!!

MERCADANTE ENOTECA-WINEBAR
C.V.Emanuele 643/644
Costo della serata € 35,00
Prenotazione obbligatoria
081 680964
334 7807377


Giovedì 1/10 e Venerdì 2/10 serata a menù libero

Sabato 3 Ottobre si riparte con la musica dal vivo
un graditissimo ritorno per aprire la stagione musicale:

An acoustic ride coast to coast from blues to country”
“Westward Unplagged”
Tony Palomaba (chitarra e voce)
Max Villani (basso elettrico)
Roberto De Luca (chitarra e voce)


Il programma e visibile sul sito http://www.enotecamercadante.com/
VENITE a trovarci per approfittare dei nuovi arrivi in offertissima


L'ARCANTE ENOTECA SI RIPARTE CON AMICI DI BEVUTE - VIAGGIO AL CENTRO DELL'AUTOCTONO






L'ARCANTE ENOTECA
Pozzuoli

AMICI DI BEVUTE - VIAGGIO AL CENTRO DELL'AUTOCTONO




Il vitigno autoctono è coltivato e diffuso nella sua stessa zona storica di origine , quindi per autoctono s’intende un vitigno non trapiantato da altre aree. Naturalmente esistono in giro per l’Italia e per il mondo esempi di vitigni che una volta trapiantati in una certa area si sono talmente adattati bene tanto da dare spesso vini anche migliori in rapporto magari alla stessa zona di origine di provenienza. Ogni vitigno autoctono presenta una sua caratteristica e distintiva forma, colore del grappolo, del chicco e delle foglie e conferisce al vino, da esso ottenuto, alcune caratteristiche organolettiche ben precise e tipiche, identitarie della propria natura e della simbiosi con il luogo di appartenenza.La coltivazione e la difesa dei vitigni autoctoni, ed anche la riscoperta di vitigni quasi scomparsi dal panorama agricolo sono divenute priorità assolute per preservare la biodiversità di alcune aree viticole o come spesso accade di intere produzioni e denominazioni; Un lavoro duro che non tutti sono disposti a fare ma che trova in coloro che si sono incamminati in questa direzione la forza di esprimere a livelli qualitativi straordinari un elemento unico ed irripetibile: l’autenticità. L’Arcante Enoteca vi guiderà in questa riscoperta, con appuntamenti di degustazione, con incontri con i produttori, con viaggi al centro della vigna; Iniziative mirate, di grande coinvolgimento nello stile e nella tradizione di profonda disponibilità e maturata professionalità che da sempre contraddistinguono le nostre idee, i nostri progetti, le nostre proposte. Comunicare il vino, con tutto l’amore possibile.

dal 6 novembre
riprendono le attività di degustazione,
incontro con i produttori, serate a tema,
Percorsi di Degustazione.


COMUNICARE IL VINO, CON TUTTO L'AMORE POSSIBILE

ANGELO DI COSTANZO LILLY AVALLONE

per ulteriori info Info
L’Arcante Enoteca Tel. 081.3031039

mailto:larcante@libero.it

Oppure utilizzare il collegamento facebook : http://www.facebook.com/profile.php?id=1565052213&ref=name

Gourmet ed archeologia venerdì 2 ottobre al Cantiere del Gusto con Terre di Sylva Mala


lo Chef Ivan Iovane






Gourmet ed archeologia:Venerdi’ 2 ottobre al "Cantiere del Gusto" con i vini di Terre di Sylva Mala

Ivan Iovane ha viaggiato nelle cucine dei migliori ristoranti emiliani, liguri etoscani. Ha fatto tappa al Grand Hotel Telese, poi sul Vesuvio daGrand Hotel La Pace a La Vela di Torre Annunziata. Si è specializzatonelle cucine della Dolce e Salato e acquisito le conoscenze dellamateria prima tra l’Etoile e il Capo D’Orso. E’ un breve tourdell’esperienza lavorativa acquisita in cucina dallo chef Ivan Iovane,ventottenne promettente che tra primi piatti, secondi e dessert sidiverte oggi con nuovi piatti gourmet nelle cucine del nuovoristorante Il Cantiere del Gusto di Piggiomarino.“Abbiamo avviato questa attività per promuovere una buona cucina sulterritorio con le ricette delle tradizione – spiega l’ingegnereSabatino Parisi, patron del ristorante – Abbiamo contattato un caroamico stella Michelin, al quale abbiamo chiesto di segnalarci uno chefcon creatività e conoscenza del settore. Ed eccoci qui con Ivan, chedevo riconoscere ci sta dando grandi soddisfazioni”.Il nuovo ristorante ha 60 posti a sedere e 20 posti esterni. Ilmercoledì è il giorno di chiusura. E la mission è di promuovere quantodi suggestivo i Comuni a nord di Napoli possono offrire, in termini ditipicità e sapori. Il nome nasce dal legame con la prima attivitàlavorativa di Parisi, appunto ingegnere.“Come apertura stagione – continua Parisi – abbiamo promosso unaserata sul tema dell’archeologia, per ricordare l’esistenza aPoggiomarino di un scavo archeologico da completare e che potrebbeessere il punto di forza per nuovi itinerari turistici, qui a sud diNapoli. La kermesse è prevista per il 2 ottobre, con i vini LachrymaChristi doc, rosso e bianco, della cantina Terre di Sylva Mala. Lericette? Quelle storiche, legate appunto all’archeologia, rivisitatedallo chef Iovane”.



Per contatti: CANTIERE DEL GUSTOTel. 081 8651675Cell. 3929474385--

Luisa Del Sorbo30Nodi - Editoria e Comunicazione

Cell.3289145106Tel/fax 0818631416info@30nodi.com

martedì 22 settembre 2009

L'INTERVISTA DI LUCIANO PIGNATARO A CLARA BARRA GAMBERO ROSSO



Clara Barra









Antonello Colonna

Roma 2010, la nuova guida del Gambero Rosso: la classifica completa e i premi


Intervista a Clara Barra



Oggi avete presentato la prima guida firmata da te come co-curatrice insieme a Perrotta. Come è cambiato il tuo approccio a questo lavoro?
Avere la responsabilità in prima persona ti ha in qualche modo frenato o liberato nelle scelte?La guida di Roma in passato era stata un po' come la "mia creatura" e (tipo Moretti in vespa) il mio piacere più grande era sempre stato quello di girare possibilmente in scooter e scoprire proprio on the road posti nuovi, quest'anno per ovvi motivi ho avuto poco tempo per farlo ma quel poco ho comunque cercato di metterlo a frutto. Il mio approccio resta sempre quello di passione e curiosità, sono fondamentali in questo lavoro
Quali le novità più rilevanti di questa edizione?
Oltre ai premi regione e provincia che trovi nel comunicato, abbiamo creato il premio innovazione, cioè a dire quei posti che nella loro categoria hanno fatto una scelta fuori dagli schemi, primo fra tutti Antonello Colonna con il suo Open Colonna in cui si può mangiare no stop spendendo dai 5 ai 125 euro
Qual è lo stato della ristorazione romana in questo periodo: c'è sempre creatività o si torna all'antico?
La ristorazione romana è in fermento ma la cosa che colpisce è un'offerta sempre più elastica e sempre più disposta ad andare incontro alle esigenze del cliente con formule low cost e comunque adatte a essere fruite in ogni ora del giorno forse proprio per la crisi economica. Direi che la creatività va a braccetto con la tradizione, sono due anime che si fondono a meraviglia
Il ristorante che ti ha enozionato di più e quello che non ti aspettavi così buono?
Pipero di Albano Laziale

Ma insomma, si mangia meglio a Roma o in provincia?
Ormai il fuori Roma è più o meno alla pari con Roma, realtà come Acuto, Acquapendente o Albano Laziale o il The Cesar de La Posta Vecchia di Ladispoli, L'Angolo d'Abruzzo mentre in città La Pergola, Il Pagliaccio, il Baby, l'Imago... insomma più o meno i conti si stanno pareggiando anche perché Colonna è arrivato a Roma e Adriano Baldassarre del Tordo Matto di Zagarolo, notizia di oggi, è andato via dal suo ristorante dove invece è rimasta la madre con il suo secondo per l'alta ristorazione il futuro è il grande albergo, solo così può reggere gli alti costi perché c'è la struttura intera che con i suoi introiti sostiene il ristorante.


RISTORANTE …..... PUNTEGGIO 2010 ..PUNTEGGIO 2009 …. +/-
Tre forchette

La Pergola de l’Hotel Rome Cavalieri.. 93....................... 93 .......... =

Due forchette
Il Pagliaccio...................................... 88.................... 86 ....... +2
Le Colline Ciociare .......................... 87 ................... 87 ....... =
Open Colonna................................. 86...................... 75...... +11
La Trota.......................................... 86..................... 85......... +1
L'Angolo d'Abruzzo......................... 83...................... 82........ +1
Il Convivio Troiani .......................... 83 .................... 83 ........ =
La Parolina .................................. 83...................... 83.......... =
Pipero........................................... 83...................... 81........ +2
L'Acqua Pazza.............................. 82 ..................... 82 ...... . =
Il Granchio ................................... 82....................... 82......... =
Pascucci al Porticciolo ................. 82 ...................... 80........ +2
Pierino......................................... 82....................... 82......... =
Al Ceppo...................................... 81....................... 81.......... =
The Cesar Hotel La Posta Vecchia. 81...................... 77.......... +4
La Rosetta ................................... 81 .................... 81 ......... =
La Torre........................................ 81...................... 80......... +1
All'Oro.......................................... 80...................... 77.......... +3
Antico Arco.................................. 80 .................... 80........... .=
L'Arcangelo................................. 80....................... 80........... =
Baby dell’Aldrovandi Palace ......... 80...................... 81........... -1
Chinappi .................................... 80 .................... 80.............. =
Il Focarile.................................... 80.................... 79............. +1
Funghetto.................................... 80..................... 80............. =
Glass Hostaria.............................. 80................... 77............. +3
Imàgo de l'Hotel Hassler................ 80....................81..............+1
Orestorante ................................ 80 ................. 80 ............. =
Da Romolo al Porto...................... 80................... 76............. +4
Il Tordo Matto.............................. 80 .................. 83 ........... -3
Enoteca La Torre........................ 80.................... 81.............. -1


Roma del Gambero Rosso 2010
Due gamberi
Da Armando al Pantheon, Baba, Ristoro La Dispensa, Da Felice, Iotto, Osteria del Giuda Ballerino!, Osteria del Velodromo Vecchio,Osteria di San Cesario

Roma del Gambero Rosso 2010
tre bottiglie
Del Gatto, Roscioli

Roma del Gambero Rosso 2010
due bottiglie
La Barrique, Casa Bleve, Il Goccetto, Palatium - Enoteca Regionale, Trimani Il Wine Bar

premio innovazione
La Fucina
Open Colonna
V Ice
Roma del Gambero Rosso 2010
MANGIARE
PREMIO QUALITA' / PREZZO

L'Angolo Divino
La Barrique
Mamma Angelina
Le Tre Zucche
MANGIARSEMPRE
PREMIO QUALITA' / CORTESIA

Barnum (caffè & bar)
Marciaronda (pizza a taglio)
COMPRARE
PREMIO QUALITA' / CORTESIA
Bomprezzi (enoteca)
Comptoir de France (gastronomia)
Cristalli di Zucchero (pasticceria)
Luigi De Angelis (carni e salumi)
De Juliis (formaggi)
Del Gatto (enoteca)
Liberati (carni e salumi)
Magini (carni & salumi)
Pomarius (gastronomia)
Antico Forno Roscioli (panetteria)
Said dal 1923 (cioccolato)
I Sapori d'Italia (enoteca)

Roma del Gambero Rosso 2010
PREMI SPECIALI PROVINCIA DI ROMA

Giovane Ristoratore Emergente All'Oro –Roma (ristorante)
Miglior Cantina del Territorio Locanda Lai – San Vito Romano (ristorante)

Miglior Artigiano del Territorio Acquolina – Roma (pizza a taglio)

Miglior Artigiano del Territorio Pompi– Roma (pasticceria)
Miglior Artigiano del Territorio Gori – Roma (pasticceria)

Miglior Artigiano del Territorio Pascucci – Canale Monterano (RM) (panetteria

Vigna Del Vulcano Lacryma Christi del Vesuvio doc 2002

rilancio anche qui la mia scheda pubblicata stamattina per Luciano Pignataro Wine Blog.
un vino da ricordare.
Giovanna Ambrosio

Vigna del Vulcano 2002 Lacryma Christi del Vesuvio doc
22/09/2009

VILLA DORA

Uva: coda di volpe 80% falanghina 20%

Fascia di prezzo: da 10 a 15 euro

Fermentazione e affinamento: acciaio e legno





















I vini delle terre nere, la full immersion di Vesuvinum 2009 e prima ancora il tour siciliano hanno lasciato il segno al naso e al palato. Lo incontro tra tanti Lacryma Christi 2008, massimo 2007, la curiosità per i bianchi campani da invecchiamento è in agguato. 2002, colore giallo paglierino intensamente dorato, ottima vivacità e consistenza al bicchiere annunciano un vino che sta affrontando alla grande il passare degli anni. Primo naso fortemente minerale, quasi idrocarburi di stile alsaziano, subito dopo arrivano floreale e frutta matura ancora fragrante : piacevoli note di ginestra del Vesuvio, agrumi, albicocca e una nota tra il vegetale e lo speziato di pepe bianco, sul fondo una leggera dolce speziatura tra miele e vacilla dovuta al passaggio in legno piccolo di circa tre mesi.L’attacco al palato è morbido e allo stesso tempo notevolmente fresco e sapido con una bellissima lunghezza ben fusa tra naso e palato. E’ un vino sul quale l’azienda ha investito, non è da tutti poter attendere tanto tempo prima dell’immissione sul mercato. Villa Dora è un’azienda profondamente calata nella realtà territoriale del Parco Nazionale del Vesuvio, 13 ettari con vigneti a 250 – 300 mt. sul livello del mare, cenere e lapilli ritornano in questo bicchiere, in particolare il fondo cinereo che si avverte a bicchiere vuoto.La famiglia Ambrosio, tra le prime in Campania, ha compreso l’accezione completa del termine terroir che, oltre ai vigneti , al microclima, alle caratteristiche del suolo, deve includere il fattore imprescindibile dell’esperienza umana e del contesto storico – culturale. Per questo motivo l’azienda si è affidata a chi fa di questi pensieri una filosofia di vita: l’enologo Roberto Cipresso affascinato da realtà estreme come questa dalle terre nere e da Tornando al palato, il vino si caratterizza per un buon equilibrio tra freschezza, sapidità, struttura e morbidezza (13,5% alcool) conferita dalla botte piccola, nonostante manchi la fermentazione malolattica, e dal lungo affinamento in bottiglia.E’ un vino tutto vulcanico, nonostante la sapidità e la relativa vicinanza al mare, lo ritengo un vino di terra da abbinare a piatti di campagna della cucina vesuviana oppure al baccalà con i ceci, lo stocco in bianco con le olive, paccheri al ragu’ di cernia, e tutti i piatti della tradizione “mangiafoglie” partenopea, visto che da sempre il Vesuvio è (o dovrebbe essere) la dispensa orticola della città di Napoli. Da ricordare che Villa Dora fa dell’invecchiamento del vino una filosofia aziendale: il Forgiato Lacryma Christi Rosso Doc 2004 ha vinto il premio Amodio Pesce 2009.

Scheda di Giulia Cannada Bartoli

Sede a Terzigno, Via Boscomauro, 1. Tel. 081.5295016, fax 081.8274905. http://www.cantinevilladora.it/. Enologo: Roberto Cipresso. Ettari: 13 di proprietà. Bottiglie prodotte: 50.000. Vitigni: piedirosso, aglianico, coda di volpe, falanghina.

lunedì 21 settembre 2009

Le mie degustazioni estive





Morbino 2008 Bianco Basilicata igt
VINI LA LUCE

Uva: moscato 60%, malvasia bianca di Basilicata 40%


Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro

Fermentazione e maturazione: acciaio

Michele La Luce ( mia foto durante il Festival delle Piccole Vigne ) Il mio personale Oscar dei Grandi Vini da Piccole Vigne provati a Castelvenere (Bn) a fine agosto, non va in Campania, ma in Basilicata. Il motivo non è dovuto al fatto che non sia stata emozionata da straordinarie piccole vinificazioni di Greco di Tufo, o Fiano, come quelle di Centrella e Cantina dell’Angelo in Irpinia e di San Giovanni Tresinus in Cilento.La ragione sta nel coraggio e nel risultato ottenuto da Michele La Luce, viticoltore appassionato insediato in Vulture da generazioni a Ginestra, piccola frazione tra Venosa e Barile nel cuore della produzione dell’Aglianico del Vulture.La Lucania non vanta particolari tradizioni di vinificazione di bianchi se non la consolidata spumantizzazione di moscato, malvasia e, ultimamente, Aglianico. I vitigni bianchi utilizzati dalla maggior parte delle aziende locali sono Fiano di Avellino e Greco. Il mercato, soprattutto la ristorazione, pressa i produttori per il completamento della gamma. Ecco che allora Michele La Luce decide di avviare nel 2008 una piccola produzione di bianco, appena 3.500 bottiglie. Naturalmente non intende allinearsi alle mode, s’ispira invece alla tradizione locale della spumantizzazione di moscato e malvasia e va all’avventura verso la vinificazione in versione ferma di questi due vitigni in uvaggio. Il nome Morbino, attribuito anche all’etichetta da tempo a catalogo, dello spumante charmat, deriva dalla posizione dei vigneti, a circa 450 slm, confinanti con Contrada Morbano, famosa per la produzione del Moscato Spumante. L'esposizione delle vigne mantiene le uve sempre al sole, e il piacevole venticello del Vulture contribuisce a preservarne la sanità e prevenire oidio e peronospora.) I terreni calcareo - argillosi e magmosi, naturalmente d’origine vulcanica, infondono al vino una precisa matrice minerale, portato all’equilibrio nei profumi e nella struttura dalla buone escursione termica e dalla serietà del lavoro, in vigna di Michele e in cantina di Sergio Paternoster.La fermentazione è breve, a bassa temperatura con criomacerazione e decantazione a freddo. Il vino si stabilizza fino a dicembre per poi affinare in bottiglia almeno 4 mesi. Prima dell’imbottigliamento viene portato anche sotto lo zero. Ne risulta un colore giallo paglierino molto tenue, addirittura bianco carta, con fantastici profumi varietali.La Malvasia Bianca di Basilicata viene tradizionalmente usata per produrre vini di buon livello qualitativo, ai quali conferisce oltre ai predetti caratteri aromatici, un’importante acidità fissa, fondamentale sia, per la spumantizzazione , sia, per la vinificazione tranquilla.Ne viene fuori un bicchiere decisamente insolito, accattivante e beverino. Al naso ritrovo profumi varietali aromatici, tenui, morbidi e allo stesso tempo intensi, piacevoli effluvi agrumati e cedrini. Siamo al sud e quindi troviamo sentori di frutta matura e una struttura glicerica più importante. L’ingresso in bocca è una sorpresa: ci si aspetterebbe un vino tendente all’amabile, invece i sentori olfattivi si fondono elegantemente con netti e piacevoli picchi di freschezza ( acidità 6 gr./lt) sapidità, mineralità e lunga persistenza aromatica. Assenza totale di residuo zuccherino. Straordinaria morbidezza conferita dai 13, 5 – 14% gradi alcolici assolutamente poco percettibili al palato, dedicata a quel pubblico che si fa suggestionare dalla gradazione alcolica del vino come unico indice di gradimento. Ottimi riscontri sui mercati di Milano e Roma, mi racconta Michele.Ho spesso affermato che il vino è frutto del suo territorio e che parte fondamentale del territorio è data dagli uomini, dalla loro cultura e dal loro modo di concepire la viticoltura. Bene questo Morbino Bianco è assolutamente figlio del suo terroir, tra Barile e Venosa (Pz) all’ombra del Vulture e del vignaiolo Michele La Luce: una persona, semplice, apparentemente timida, ma di ottima struttura e “persistenza”.Gli abbinamenti? Lo vedo bene su delicati crudi di pesce accompagnati da verdure alla griglia, sul baccalà alla brace, sulla mozzarella di bufala aversana, zuppette di legumi estive, e ancora sugli spaghetti alla colatura di alici di Cetara di Pasquale Torrente del ristorante Al Convento.In perfetta linea il prezzo: 6 euro franco cantina. Scheda di Giulia Cannada BartoliSede a Ginestra. Via Roma, contrada Serra del Tesoro. Tel./fax 0972.646145. Cell. 3476386630 http://www.vinilaluce.it/ vinilaluce@libero.it. Enologo: Sergio Paternoster. Ettari: 6 di proprietà. Bottiglie prodotte: 30.000. Vitigni: aglianico, moscato, malvasia.

Napoli, 26 Settembre 2009, IL VIAGGIO DI GIOVANNI AJMONE CAT RACCONTATO IN UNA MOSTRA AL MUSEO DEL MARE

Il Ristorante Tarantino di Pozzuoli offre gli sfizi di mare dell'aperitivo Flegreo
Le cantine Astroni offrono in degustazione i vini dei Campi Flegrei


Il logo del Museo del Mare di Napoli





La locandina della mostra





Giovanni Ajmone Cat





Il San Giuseppe: 1973 da Torre del Greco (Na) in Antartide e rientro ad Anzio (Rm)






Napoli, 26 settembre 2009, SI INAUGURA LA MOSTRA SUL Viaggio in Antartide di GIOVANNI AJMONE CAT nell' ambito delle Giornate europee del patrimonio” al Museo del Mare di Napoli .




a cura di Antonio Mussari
e
Ferruccio Russo

Aperitivo flegreo
a cura di
Officine Gourmet


Sabato 26 settembre 2009, presso il Museo del Mare di Napoli, via di Pozzuoli, 5 (Bagnoli), alle ore 9,00, nell’ambito delle “Giornate europee del patrimonio” sotto l’egida dal Ministero dei Beni Culturali e della Direzione Regionale dei Beni Culturali sarà inaugurata la mostra foto-documentaria “Viaggio in Antartide di Giovanni Ajmone Cat” a cura di Antonio Mussari e Ferruccio Russo, che resterà aperta al pubblico fino al 26 novembre 2009. La mostra vuole ricordare i due viaggi di Giovanni Ajmone Cat in Antartide, in terre inospitali e remote: il primo per inseguire il sogno di portare il Tricolore là dove non era mai stato piantato; il secondo, per realizzare una spedizione scientifica con la quale gli italiani, grazie all’esplorazione di nuove terre in Antartide, potessero guadagnare il diritto di partecipare alla ricerca ed allo sfruttamento delle sue risorse.
Attraverso l’esposizione di materiali fotografici, oggetti personali, un film documentario ed un libro memoriale vengono illustrati i due viaggi che furono effettuati con un’ imbarcazione di circa 16 metri: il San Giuseppe Due, costruito a Torre del Greco nel 1968 presso il cantiere di Antonio e Gerolamo Palomba e armato con due vele latine con fiocco, controfiocco e scopamare, realizzate da Giovanni Ascione anche lui di Torre del Greco.
In esposizione: gli effetti personali, i modelli delle due imbarcazioni: S. Giuseppe1 e San Giuseppe Due e gli indumenti indossati nel freddo inverno polare.
Il film documentario, basato sulle riprese in Antartide di Dario Trentin, amico fraterno e compagno di viaggio in varie tappe del viaggio del San Giuseppe Due, ha per titolo ”Il Tricolore nei mari del Sud”.
Il libro memoriale è il diario di viaggio della prima spedizione in Antartide ed è corredato da bellissime fotografie scattate nel corso della navigazione. La realizzazione di questo libro è dovuta alla tenacia ed alla paziente ricostruzione grafica del curatore ed editore Ferruccio Russo. Alla conferenza, con inizio alle 9,30, interverranno i familiari, compagni di viaggio e responsabili delle istituzioni che sponsorizzarono il secondo viaggio di Giovanni Ajmone Cat. In chiusura : Aperitivo con le bollicine flegree di CANTINE ASTRONI e piccoli sfizi di mare a firma dello chef Gennaro Bisci proprietario del Ristorante dal Tarantino di Pozzuoli

Accrediti e Contatti: tel. 081 6173749; fax 081 2428728
Mobile 339 8789602
officinegourmet@gmail.com

Credits
http://www.museodelmarenapoli.it/
http://www.beniculturali.it/
http://www.cantineastroni.com/
http://www.trattoriadaltarantino.it/

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San Vito Lo Capo - Tp. Ristorante e hotel Al Ritrovo

Le foto dei piatti e dell Chef
Trancio di ricciola " alla pantesca"
Insalatina di cozze, arance, cipollina rossa e aceto balsamico

Conchiglioni fatti in casa con farina di pistacchio, cozze e tenerume di zucca


Calamaro ripieno con farcia di pane ammolicato, capperi e agrumi



Bresaola di tonno stagionata dallo chef




Delizie dalla tonnara





lo Chef del Ristorante al Ritrovo
Peppe Buffa






riporto anche sul mio sito, il racconto esntusiasta di questa scoperta fatta nel trapanese quest'estate e già pubblicata da Luciano Pignataro Wine Blog







San Vito Lo Capo, ristorante hotel Al Ritrovo


Viale C. Colombo 314 Castelluzzo Sempre aperto.
Ferie: 18 – 30 novembre e 20 – 30 gennaio
Tel. 0923.975656 - fax 0923.975670
Lo chef Peppe BuffaStoria, sapori, passioni ed emozioni. Questa è la Sicilia di Peppe Buffa, chef e patròn del ristorante Al Ritrovo di Castelluzzo, piccola frazione di San Vito Lo Capo, celebre per le bellezze naturali e per il Cous Cous Fest che ogni anno raccoglie centinaia di chef da tutti i paesi del Mediterraneo.Il ristorante, circa 60 coperti, è aperto dal 1995, Peppe è dietro i fornelli dall’età di 15 anni, oggi ne ha 42. La sala è ambientata d’estate in un delizioso giardino attrezzato e d’inverno in un caldo salone con tanto di camino.Nel 2006 lo Chef chiude il cerchio, affianca al ristorante, un piccolo hotel di charme: 12 camere arredate in elegante e confortevole stile minimal dai vivaci colori di Sicilia, solarium e vasca spa al piano superiore e, soprattutto, personale eccellente e sinceramente cordiale, s’intuisce che il patron ha costruito una squadra affiatata. Il direttore di sala e dell’hotel, Antonio Tilotta, con Cristina Cardella e Franca Zichichi all’accoglienza e assistenza ospiti, hanno reso il mio soggiorno indimenticabile, quotidianamente coccolata con discrezione, professionalità e calore esclusivamente siciliano.Peppe, sommelier e relatore Ais, è stata la mia guida durante tutto il soggiorno: ogni giorno luoghi meravigliosi e sapori sconosciuti. Fortemente attaccato alla propria terra, mi ha fatto provare tutti i prodotti del trapanese, eccellenti materie prime, base della sua cucina. Ho assaggiato, l’olio extra vergine d’oliva da cultivar Nocellara, Cerasuola e Biancorilla, il pane di Castelvetrano, i biscotti al sesamo, l’aglio Rosso di Nubia, la pasta fatta in casa, i pomodori secchi, i “cucunci” (fiori di cappero), le verdure dell’orto e il pesce freschissimo di un fornitore esclusivo di San Vito Lo Capo. I piatti s’ispirano fortemente ai sapori forti tradizionali di questo versante della Sicilia, tuttavia, in ogni composizione ho ritrovato tocchi di leggerezza ed eleganza sia, nella sostanza, che, nella forma. Il menù è in teoria settimanale e rigorosamente di stagione, di fatto, ogni giorno ci sono nuove incursioni secondo quello che arriva dal mercato del pesce, dall’orto e dalla fantasia dello chef. In due settimane ho voluto provare tutti i piatti, solo in qualche occasione la mia curiosità gourmet mi ha spinta in qualche piccolo ristorantino gourmet di San Vito Lo Capo, ricordo il Tha’am dei fratelli Graziano, delizioso locale in stile arabo con cucina fusion siculo-tunisina (0923-972836). Antipasto della tonnara, bresaola di tonno e insalatina di cozze
Torniamo al menu, ogni sera lo chef veniva a raccontarmi le golosità extra carta, la mia scelta era perciò sempre un misto tra piatti nuovi e alla carta.Fantastiche e diversissime tra loro le entrèe: il tortino di pesce spada con caponata bianca ai pinoli su vellutata di pomodoro. Un piatto equilibrato composto di un’unica fettina di pesce spada avvolta a mò di tortino intorno ad una farcia di verdurine. Sempre molto intriganti le presentazioni. Ancora, un piatto fantasioso e saporitissimo: il crudo di gamberi in carpaccio d’ananas e caviale mojo. Ogni sera un’entrèe curiosa. Assaggiate tutte: dall’antipastino delizie della tonnara, composto, da salame, carpaccio e bresaola di tonno, fatta dallo chef e stagionata 2 mesi, ottima anche da sola condita con pepe nero e verdure saltate. Sono andata in estasi per l’insalatina di cozze, arance e cipolla rossa, un misto di sapidità e dolcezza a cui ho abbinato un Grillo 2007 della Cantina Castellucci Miano di Valledellolmo.La sera di Ferragosto un entrèe da favola, misto di tradizione e innovazione, il sapore mi è rimasto scolpito nella memoria: crema fredda di mandorle di Avola in olio Extra vergine del Belice con code di scampi, leggermente aromatizzata all’aglio rosso di Nubia. Strepitosa anche la seconda entrèe (è Ferragosto), Lampuga affumicata in casa dallo chef, pura estasi al palato. La crema si rivela un gioco di consistenze e alternanza di sapori diversi che mi strega, l’ultima sera l’ho riprovata per portarne con me il ricordo. Un salto a terra: caponatina di melanzane con cacao amaro e mandorle, anche qui divertissement innovativo tra sapori contrastanti, l’amaro delle mandorle e del cacao e la caponatina in leggero agro dolce, davvero particolare. Del cous cous ho già parlato nella prima puntata. Resta in ogni caso il piatto che più mi ha incantato per sapori, consistenze, composizione, richiami alla tradizione e spunti innovativi come il cous cous dolce con gelato di vaniglia.Un trionfo i primi e le minestre: sono partita dal risotto ai crostacei con finitura allo zibibbo, che dire? Un fantastico risotto alla trapanese!Il 90% dei primi piatti è naturalmente ispirato al mare e al pescato del giorno: tonno e cernia, i pesci preferiti dello chef, ( gli altri sono “abitanti del mare” mi dice ☺ ), la fanno da padrone. Ravioli di cernia in brodo ristretto di scorfanetti, il mare in bocca, sapidità e tendenza dolce in perfetto equilibrio, ho abbinato lo zibibbo fermo “Pietranera”, Marco de Bartoli 2006. Particolarissimi i vermicelli con vongole e pecorino primizio, insolito abbinamento che noi napoletani rifiuteremmo a priori, in realtà l’accostamento è riuscito.Conchiglioni impastati con la farina di pistacchio con cozze
Infine due piatti mare/terra : conchiglioni fatti in casa con impasto di pistacchi, cozze e tenerume di zucca, abbinamento si potrebbe dire ormai scontato della cucina mare – monti del sud. No. Il piatto si presenta appena brodoso, quasi una minestra, carnose le cozze e morbido il tenerume di zucca locale, ritorna il fil rouge dell’alternanza tra sapidità, tendenza dolce, tradizione e innovazione. A crudo un filo d’extravergine di cerasuola. Più insolito l’altro piatto, cavatelli fatti in casa con aragosta e tartufo, abbinamento azzardato ma ben riuscito, ho bevuto il Meridiano 12, 100% Catarratto della Tenuta Gorghi e Tondi nella vicina Mazara del Vallo. (www.gorghitondi.com), bei profumi floreali e agrumati, giuste sapidità e persistenza.Una domenica stanca del mare rientro per pranzo e allora ragù! Qui però il maiale del mare è il tonno, ergo, ragù di tonno rosso con rigatoni fatti in casa, una spolverata di pepe nero, basilico e immancabile “scarpetta”. In alternativa, tubettoni con patate, pomodorini e filetti di triglia, solo l’imbarazzo della scelta. Calamari farciti, cernia alla pantesca e tranci di ricciola alla pantescaTra i secondi, il menù pur offrendo una buona scelta di carni locali, come il filetto di manzo al Nero d’Avola o, gli involtini di carne alla siciliana, è un bagno di mare. Tonno, cernia, spada, calamari, ricciola e triglie, oltre a freschissimi crostacei, ispirano ogni giorno la fantasia dello chef.Saltando la carne, ho voluto provare un po’ di tutto. Ho iniziato dalla cima della piramide, tagliata di tonno rosso, quasi crudo con semi di papavero, sesamo e sale aromatizzato alla lavanda, decisamente tra i piatti migliori mai assaggiati: freschezza della materia prima lasciata intatta e appena insaporita dalle delicate spezie. Il tonno in versione più moderna arriva una sera a sorpresa: insalatina di tonno su crema di agrumi, sapori ben distinti e allo stesso tempo sapientemente fusi. Poi sua maestà la cernia, preparata in due versioni, alla “pantesca” stufata con patate, pomodorini paceco, saporite olive nere locali, e capperi ovviamente di Pantelleria, oppure in pasta brick, sottilissime sfoglie di pasta tipicamente marocchina, simile alla pasta phillo, ma più leggera e sottile, con purea di melanzane, fusione perfetta tra terra sicula e mondo arabo. Passiamo a molluschi e crostacei, su tutti, calamari e gamberi rossi imperiali, quelli del Mediterraneo dai lunghi baffi. Il primo farcito con mollica di pane, capperi, spezie e uova e servito su salsa di agrumi: un altro piatto stampato nella memoria. I secondi saltati al passito di Pantelleria con qualche nuance di pomodoro: equilibrio perfetto. La pasta brick l’ho ritrovata anche in forma di tulipano ripieno di piccoli tranci di ricciòla in compagnia di un grosso grasso gamberone imperiale.
Il giovane sous chef Giuseppe CucciaréFuochi d’artificio per la pasticceria: tipica siciliana con divertenti rivisitazioni. I miei preferiti, parfait al pistacchio, alla mandorla e al torroncino con fondente caldo. La tradizione si mantiene sulla tipica cassata e sulle cassatellle, piccoli calzoncini di pasta frolla, farciti di ricotta e cioccolato, fritti e serviti con gelato di vaniglia e una spolverata di cacao. Per chiudere freschissime barchette d’ananas al basilico, o, sorbetto al “capuni” (melone) di Paceco. Quasi del tutto isolana la carta dei vini, con molte etichette curiose e meno note al fianco dei nomi che hanno fatto grande la Sicilia del vino. Interminabile la lista dei dopo pasto, tutti siciliani, passiti, marsala d’ogni tipo, vini aromatizzati alla mandorla, ottima scelta di whisky e rhum.Lo chef appena può, si sgancia dai fuochi e fugge in sala per salutare i clienti, molti abituali, sostituito in cucina dal giovane sous chef Giuseppe Cucciarè, una bella promessa. Peppe si sofferma con piacere, soddisfa le curiosità della gente, discute di sapori e di vini. In poche parole: comunica la propria terra attraverso i sapori e la passione che traspirano dai suoi piatti. Non fa alcuno sforzo per questo, è pazzamente innamorato della Sicilia. Una curiosità: il logo riprende i decori dei volti femminili degli antichi ( non i souvenir) classici carretti siciliani. Straordinario il rapporto prezzo qualità sia del ristorante che dell’albergo: per un menù completo dall’entrèe al dolce spenderete circa 45,00 € ,esclusi i vini ( molto onesto anche il ricarico sulla carta). Il costo della camera in alta stagione è di € 60,00 a persona con colazione, naturalmente, a chi piace, “u pani cunzatu” caldo e croccante si serve ogni mattina.
Giulia Cannada Bartoli
COME ARRIVAREIn aereo: aeroporti di Trapani( 60 km) e Palermo; in auto: percorrere l’A29 fino allo svincolo di Castellammare del Golfo. Uscire e seguire la SS 187 fino al bivio San Vito Lo Capo/Custonaci. Seguire le indicazioni. In nave o barca: porti turistici di Trapani, Palermo e San Vito Lo Capo

15 settembre 2009, La Grande Notte di Malazè








Campi Flegrei, la grande notte di Malazé
16/09/2009

di Giulia Cannada Bartoli
Con Rosario Mattera
Le nuvole si addensano minacciose, i gabbiani volano alto, ma, si sa, i Campi Flegrei sono una terra benedetta, la serata di chiusura della quarta edizione di Malazè si è svolta sotto un cielo stellato, tra l’entusiasmo, la voglia e la tenacia di comunicare la realtà di un grande territorio. L’evento si apre con un incontro al quale hanno partecipato tutti gli attori di Malazè: Rosario Mattera infaticabile ed umile deus ex machina, l’assessorato all’Agricoltura della Regione Campania con l’Assessore Gianfranco Nappi, le Strade del Vino dei Campi Flegrei con la neo – Presidente, la giovane Francesca Adelaide di Criscio, determinata imprenditrice del vino con le idee chiare e molta grinta nel sacco, Michele Farro, Presidente del consorzio di Tutela dei vini dei Campi Flegrei, Gaetano Pascale, Governatore Regionale Slow Food che, quando si tratta di spingere territori e prodotti unici da tutelare, è sempre in prima linea con idee concrete ed originali, ancora, Vito Amendolara, Direttore Coldiretti Campania che con la schiettezza e lucidità d’analisi che lo contraddistinguono ha tracciato una sintesi della situazione della filiera agro – alimentare campana, tirandone fuori luci ed ombre.L’incontro moderato dal giornalista Luciano Pignataro, è iniziato simpaticamente con tutti i relatori, Assessore compreso, con indosso l’allegra t - shirt blu di Malazè. Il dirigente Stapa Cepica Luciano D’Aponte ha presentato la partecipazione della Regione Campania all’Anuga, la più grande manifestazione dell’agro alimentare che si tiene a Colonia dal 10 al 14 ottobre 2009. Interessanti le modalità previste per la partecipazione delle aziende selezionate che avranno la possibilità non solo di far degustare i propri prodotti in uno spazio gourmet, dedicato a buyers e stampa, con chef campani che esalteranno le caratteristiche organolettiche delle produzioni della nostra terra dal Vesuvio, al Sannio, all’Irpinia, ai Campi Flegrei, al Cilento e Terra di Lavoro, ma potranno anche sfruttare l’opportunità d’incontri BToB (business) attraverso incontri mirati organizzati in collaborazione con le Camere di commercio tedesche.
Il nostro Angelo Di Costanzo tra Francesco Martusciello di Grotta del Sole e Raffaele Moccia di AgnanumRosario Mattera con la luce negli occhi ha raccontato vari episodi accaduti durante la settimana di Malazè, enfatizzando il contatto della gente comune con operatori e prodotti unici e sconosciuti, come i pomodori cannellini assaggiati in campo a Bacoli. Tutti questi episodi sono stati ripresi in un video proiettato a bordo piscina prima dell’inizio della festa enogastronomica, nonostante le delizie pronte per essere servite, il pubblico e'fisso sulle immagini dei nostri magici luoghi. Questa terra, insiste Mattera, non ha bisogno di turismo spot del sabato e della domenica che porta poco o nulla al territorio, ma è necessario lavorare ai macrosistemi per regolarizzare e razionalizzare stabili flussi di turismo verso queste aeree. E’ importante che i prodotti campani oltre a girare il mondo, siano sistematicamente presenti sul territorio, in primis nei locali che fanno ristorazione di qualità che devono obbligatoriamente utilizzare le eccellenze della Campania, sia nel menu’ sia nella carta dei vini e poi bisogna far sì che le persone si spostino fisicamente sui territori, non si deve spostare il pomodorino del Piennolo dal Vesuvio, bisogna spostare i turisti per gite naturalistiche e gourmet sul Vulcano piu’famoso del mondo.I ristoratori devono essere i primi testimonial locali, insieme ai sommeliers, delle nostre eccellenze. Di qui la necessità di sensibilizzare le realtà economiche territoriali e costruire un macro sistema fatto di punti d’accoglienza, buona ricettività, servizi, infrastrutture, insomma un “pacchetto territorio” da vendere in Italia e all’estero con la tecnica del marketing esperenziale, in altre parole stimolando e “vendendo “ emozioni, sensazioni e ricordi di terre meravigliose che rimarranno impressi nella memoria di chi viene a visitare i Campi Flegrei, piuttosto che le altre meraviglie della Campania. Nuove generazioni di ristoratori hanno finalmente affrancato la cucina flegrea dall’iconografia tradizionale dello “spaghetto a vongole” puntando fortemente su prodotti d’eccellenza, dando importanza all’originalità e tradizione dei sapori flegrei.
Francesca Di Criscio, giovanissima presidente della Strada del Vino
Tutto questo non è sfuggito alle guide di settore che hanno premiato gli sforzi di questa nuova classe d’imprenditori. Nino Pascale, governatore slow food regionale, rileva però che non siamo ancora arrivati alla giusta attenzione verso la produzione locale ed il patrimonio delle biodiversità della nostra regione fatica ad affermarsi nella ristorazione che spesso preferisce e/o deve fare i conti con costi di produzione risparmiando pochi centesimi e sacrificando prodotti d’eccellenza come l’olio extra vergine d’oliva. Quello che è accaduto per il vino, dovrebbe succedere per i prodotti, i nomi degli agricoltori dovrebbero comparire sui menu’ dei ristoranti, così da promuovere le piccole produzioni patrimonio unico da preservare a tutti i costi. Si tratta non solo di operazioni di tutela agricola, ma di tipo culturale, di difesa della biodiversità, conferendo la dovuta dignità al mestiere di “contadino” che non è certo meno qualificante di altre professioni. Lo sviluppo della nostra terra passa attraverso l’agricoltura e l’economia del mare, verso le quali vanno fatti sforzi economici d’investimento non solo in denaro, ma, soprattutto culturali e di analisi reale delle risorse dei territori. Una soluzione potrebbe venire dalla creazione di un marchio unico di qualità da assegnare a ristoratori virtuosi che utilizzano le eccellenze del territorio, ricavandone promozione istituzionale e crescita mediatica. L’ultimo intervento spetta all’Assessore Nappi che spinge sulla cultura in cambiamento delle realtà imprenditoriali che si stanno aggregando e acquisendo consapevolezza di non dover essere per antonomasia un’area assistita. Le eccellenze ci sono, se pur inserite in “inferni locali” costruiti dalla società moderna e da istituzioni quantomeno disattente. Bisogna riconciliarsi con l’ambiente e puntare sui macro sistemi per consolidare il cambiamento. I prodotti campani, sostiene l’Assessore, più che come marchio complessivo “Campania” devono essere promossi come derivati da sistemi territoriali di eccellenza: Sannio, Irpinia, Vesuvio, Campi Flegrei, Cilento, Terra di Lavoro messi in evidenza da una cartellonistica unica per tutti che però da sola non basta: la nostra regione ha bisogno in primo luogo di stabilire le condizioni primarie di fruibilità, accoglienza ambientale e socio –culturale dei territori per far sì che i prodotti possano raccontare e creare emozioni e ricordi indelebili nella memoria di chi viene a visitarci. Il ruolo di protagonisti in operazioni di questo tipo va alle strutture associative presenti sul territorio, raccordate in sistema, il Parco regionale dei campi flegrei, Le strade del Vino, il Consorzio di tutela, le associazioni di categoria, i singoli imprenditori , le associazioni di territorio come Campi Flegrei a Tavola . Tutti questi attori dovrebbero essere uniti in uniche e coordinate realtà operative volte a creare situazioni globali di ordine ambientale e strutturale e cercare di limitare i danni creati dal caos di stratificazione edilizia presente nei Campi Flegrei. E’ il contenitore ambientale che deve svilupparsi con il contributo di tutti questi attori, utilizzando magari con maggiore razionalità le risorse istituzionali provenienti da Regione e Comunità Europea, facendo dell’Agricoltura, dello sviluppo e modernizzazione della trasformazione, e dell’Enogastronomia grandi protagonisti e volani di sviluppo della Terra del Mito, habitat e ambiente d’incomparabile bellezza realmente corrispondenti a quello che leggiamo sulle guide e brochures che promuovono il territorio. Prodotto e territorio devono essere concretamente e organizzativamente legati a doppio filo per far sì che il sistema funzioni. Grandi speranze e ottimismo vengono dagli attori locali , il Presidente del consorzio di Tutela dei Vini dei Campi Flegrei, la neo – Presidente delle Strade del Vino dei campi flegrei affermano che gli imprenditori qui sono coraggiosi, hanno acquistato nuova consapevolezza della necessità di stare insieme, di progettare iniziative di promozione e di comunicare tutto questo all’esterno. Gli strumenti ci sono, a partire da un’unica toponomastica territoriale che indichi tutti i luoghi di accoglienza turistica, storica, paesaggistica ed enogastronomica, come preannunciato dall’entusiasta Assessore Gianfranco Nappi.Terminate le chiacchiere si apre la festa, Malazè è diventata una “macchina da guerra”, nello splendido scenario di Villa Eubea, a pochi passi dal parco archeologico di Cuma , un susseguirsi di odori e sapori creati dal meglio della ristorazione flegrea e poi l’angolo” cantina – degustazione”, tutte le aziende socie del Consorzio e della Strada con i vini in degustazione, falanghina e piedirosso la fanno da padrone, anche in versione bollicine.Ho notato una generale crescita qualitativa e, della ristorazione e,del comparto vinicolo flegreo. Tanta attenzione alla qualità, alle materie prime, all’estetica del piatto. Tutti presenti all’appello del presidente Rosario Mattera, coadiuvato per la parte vini dal vulcanico Angelo Di Costanzo, rientrato da Capri per l’occasione. Angelo ha girato tra produttori e ristoratori con il microfono per tutta la serata, per narrare storie di persone e di prodotti unici. Nando Salemme, patron dell’Osteria Abraxas ha coordinato i ristoratori, creando un percorso gastronomico,blend perfetto tra cucina di terra e di mare dei Campi Flegrei: cicerchie, pesce azzurro, ortaggi, pasta, pane cotto a fascine, il “tatiello” e la “liatia” antichi piatti terragni della tradizione flegrea, salumi di territorio da suini allevati sopra Bacoli e uova “livornesi” da una particolare razza di gallina, allevata a terra e nutrita solo con orzo , mais e granone.La festa volge al termine con la speranza di non aver fatto solo belle chiacchiere e considerazioni, ma di aver identificato i percorsi reali di sviluppo di un’area dalle enormi potenzialità con risorse uniche al mondo.

Viaggio nella Sicilia nord occidentale/1. L'Aglio Rosso di Nubia












Viaggio nella Sicilia nord occidentale/1. L'Aglio Rosso di Nubia e la ricetta del cous cous " alla sanvitese"


di Giulia Cannada Bartoli


Ho inaugurato il ciclo dei ritorni alla mia terra d’origine per parte di padre l’anno scorso con un fantastico tour nella parte sud orientale dell’isola. Quest’anno ho scelto la parte opposta, tutta l’area della provincia di Trapani. Faccio base in una piccola deliziosa frazione di San Vito Lo Capo, Castelluzzo.
Sicilia, terra di colori, profumi e sapori forti e intensi. Il mio viaggio nel gusto parte dal piu’marcato dei sapori della cucina del trapanese: l’Aglio Rosso di Nubia, piccola frazione di Paceco, nelle vicinanze dell’isola di Mozia. Nubia, da sempre fonda la sua economia sulle saline e sulla coltivazione dell’aglio rosso, tanto da farle acquisire la denominazione dialettale di “u paisi di l’agghi” cioè il paese dell’aglio. La coltivazione viene ancora oggi praticata con metodi tradizionali che si sono perpetuati nel tempo che vanno dall’attenta selezione dei bulbilli, alla tecnica di coltivazione rispettosa dell’ambiente, all’impianto e raccolta manuale, fino alla fase di asciugatura e intrecciatura, sempre rigorosamente manuale. Un tempo le “trizze” di aglio erano composte anche di centinaia di teste, erano lunghissime, e si tenevano appese nelle abitazioni per attingerne l’aglio necessario alla preparazione dei cibi.

L'Aglio Rosso di Nubia deve il suo nome al fatto che ha un caratteristico colore rossastro, perchè ha la camicia esterna bianca e quella interna rossa. Ha profumi e sapore particolarmente intensi, forti e delicatamente aromatici allo stesso tempo. Si semina tra dicembre e gennaio, in rotazione con il melone, le fave e il grano duro e si raccoglie fresco nel mese di maggio. Viene raccolto di preferenza la sera o la mattina presto quando le foglie sono piu' umide e il prodotto puo’essere facilmente intrecciato in grosse trecce di aglio, tipicamente da 100 bulbi (ma tranquilli, le vendono anche a pezzi!).

I produttori di Nubia hanno chiesto il riconoscimento del marchio I.G.P. (indicazione geografica protetta) e Slow Food ha attribuito a quest’ aglio uno dei suoi Presidi nel 2002 . il Presidio coinvolge circa 20 piccoli produttori locali in un’associazione di tutela; i produttori si sono dati un disciplinare rigoroso e, dal 2008, hanno elaborato un modo totalmente ecocompatibile per confezionare l’aglio.

La moglie di uno dei produttori, Rosa Gallo Placentino, ha inventato un nuovo intreccio che consente di tenere insieme solo quattro teste di aglio (una quantità più adatta alle esigenze moderne di consumo), formando un’asola – una sorta di piccola maniglia - consente di appendere il mazzetto di aglio. La nuova tecnica è stata subito adottata anche dagli altri produttori del Presidio. Niente plastica, quindi, o scatole di difficile smaltimento: le teste di aglio sono tenute insieme dai soli gambi dell’ortaggio intrecciati quando non sono ancora completamente essiccati, cioè ancora flessibili. Questo nuovo sistema ha ricevuto un premio Slow Food nel 2008.

Nubia si raggiunge da Trapani percorrendo la strada costiera SP21 che porta a Marsala, attraversando la caratteristica città di Paceco sino a scorgere l’emozionante spettacolo delle ricche coltivazioni e lo scenario impareggiabile delle sue saline. Il territorio è pianeggiante e di natura argillosa. Le zone di coltivazione,mi racconta un piccolo agricoltore, sono esposte ad ovest, quindi ricevono piu’ lentamente, sia, in inverno, che, in primavera le radiazioni solari Ciò favorisce il ciclo vegetativo dell’aglio grazie alla sua bassa esigenza di luminosità, specie nel periodo primaverile, che è il tempo nel quale la pianta provvede naturalmente alla differenziazione del bulbo e al suo ingrossamento.
L'Aglio Rosso di Nubia ha un bulbo costituito tipicamente da dodici bulbilli con le tuniche esterne bianche. Le tuniche interne, di colore rosso vivo, danno il nome all'Aglio. A seconda del diametro del bulbo, la treccia, o “trizza”, prende il nome di “cucchia rossa” (bulbi da 50 mm.), “corrente” (bulbi da 40 mm.), “cucchiscedda” (bulbi da 30 mm.) o “mazzuneddo” (bulbi da 20-25 mm.).

L’Aglio Rosso è protagonista indiscusso nella ristorazione del trapanese e della Sicilia in genere, il suo sapore a crudo è profondamente diverso dalle altre specie di aglio: l’ingresso in bocca è morbido, pieno ed aromatico, solo in retrogusto arriva il classico piccante, ma ciò che prevale è la persistente e piacevole aromaticità.

Naturalmente, il primo dei piatti che ho cercato a San Vito Lo Capo, è la pietanza per antonomasia del trapanese, Sua Maestà il Cous Cous, fantastica fusione di tradizioni arabe e locali. Peccato non poter essere al Cous Cous Fest dal 22 al 27 settembre (http://www.couscousfest.it/). Impossibile descrivere tutti i tipi e le interpretazioni che ho degustato, ecco la versione classica, quella di pesce alla “sanvitese”.

La Ricetta del Cous cous
Le quattro versioni del couscous dello chef Peppe Buffa, Patron de Al ritrovo di Castelluzzo: con crostacei e verdure saltate, con tonno e finocchietto, con montone e legumi, con cernia e verdure

INGREDIENTI:
Un chilo di semola per couscous di grano duro, una stecca di cannella, sei foglie di alloro, sei spicchi d'aglio rosso di Nubia, 200 grammi di pistacchi sgusciati di Bronte, 100 grammi di mandorle siciliane sgusciate, 100 grammi di capperi di Pantelleria dissalati, olive verdi Val di Mazara, un mazzetto di prezzemolo, uno di basilico e uno di erba cipollina, due cipolle dorate, olio extravergine di oliva dop Val di Mazara, come il Nocellara di Geraci a Partanna, sale di Mozia, pepe verde intero, peperoncini essiccati, una melanzana tunisina, due zucchine verdi, un peperone giallo, due carote, 250 grammi di doppio concentrato di pomodoro, due filetti di Pescatrice (circa un chilo), ma si utilizzano anche tonno rosso del mediterraneo, ricciola, dentice e scorfano.
PREPARAZIONE:
“Incocciare”, ovvero introdurre poco alla volta la semola nella “mafaradda”, un grosso recipiente in terracotta smaltata nel quale si lavora la semola, che deve essere molto capiente e con i bordi inclinati ma non troppo alti. Con un cucchiaio vi si versa dell'acqua, un po' per volta e con movimento rotatorio della mano la s’imprime fino a ridurla in piccolissime palline, prestando attenzione che non si formino i grumi di semola ovvero che 4-5 granelli di semola non rimangano uniti tra .loro. Addirittura sarebbe utile aiutarsi con un colapasta per setacciare la semola incocciata eliminando i grani più grossi. Ripetere l'operazione più volte fino ad esaurimento della semola. Si passa alla fase dell’asciugatura per circa un'ora su panni di cotone bianco. Si ripone quindi la semola lavorata in ambiente areato. Una volta asciutta, si sgrana e si ripone in un contenitore ampio e si condisce con un filo d'olio, sale e pepe q.b. una manciata di prezzemolo tritato, qualche foglia di basilico spezzettata, una cipolla tritata, due spicchi d'aglio tritati, quattro foglie di alloro, la stecca di cannella intera, 100 grammi di mandorle tritate, 50 di pistacchi tritati, 50 grammi di capperi tagliuzzati, qualche filo di erba cipollina tagliuzzato grossolanamente.

Una volta condito, si ripone il couscous in una pentola di terracotta, forata solo nella parte inferiore (“couscousiera”) e si sovrappone ad una pentola di uguale diametro riempita per tre quarti di acqua, dove s’immerge una cipolla, del prezzemolo e dell'alloro. Si sigillano poi le due pentole con un impasto di farina di grano duro e acqua formando un cordone di pasta da applicare nello spazio tra le due pentole. Si ripongono le pentole unite sul fuoco a fiamma forte e si attende che i vapori di cottura comincino a fuoriuscire dalla superficie del couscous. Dal quel momento, si lascia cuocere il couscous per circa novanta minuti a fuoco medio.
In un'altra pentola si prepara la zuppa che dovrà insaporire e accompagnare il couscous.

LA ZUPPA
Preparare in una pentola un soffritto con la rimanente cipolla tritata, abbassare il fuoco al minimo e sciogliere il doppio concentrato di pomodoro nel soffritto. Aggiungere qualche mestolo di acqua calda e creare un fondo di cottura uniforme, portarlo in ebollizione a fuoco forte e aggiungere acqua fino a un terzo della pentola. Una volta ad ebollizione, aggiungere l'aglio tritato rimanente, 50 grammi di capperi interi, una manciata di prezzemolo tritato, una manciata di foglie di basilico spezzate, il rimanente pepe verde intero, una manciata di sale, qualche filo di erba cipollina, due peperoncini spezzettati e fare cuocere per circa 15 minuti. A questo punto aggiungere acqua fino a tre quarti della pentola e tuffarvi i filetti di pesce (accuratamente privati di tutte le lische e lavati). Fare cuocere ancora una mezz'oretta a fuoco forte integrando acqua, se necessario, per mantenere il livello minimo della zuppa a mezza pentola. Aggiustare di sale.
In una padella ampia a bordo alto soffriggere per circa cinque minuti in olio d'oliva ben caldo gli ortaggi lavati e tagliati a bastoncini spessi non più di un centimetro e lunghi non più di sei, rendendoli ben dorati e croccanti, prestando attenzione a non eccedere nelle quantità in padella. Ripetere quindi più volte la stessa operazione con tutti gli ortaggi ricordando di mantenere alta la temperatura dell'olio di volta in volta. Riporre i bastoncini di ortaggi in carta assorbente, salarli e peparli con pepe verde macinato.
A questo punto il couscous avrà terminato la cottura consigliata, si svuota la pentola e lo si versa in un'ampia zuppiera in ceramica (il tipico “lemmo”), arricchito con parte dei bastoncini di ortaggi, qualche filo di cipollina, una manciata di pistacchi tritati, amalgamare il tutto con delicatezza, ammorbidendo con tre ampi mestoli di brodo fumante per poi lasciarlo riposare, avendo cura di coprirlo con un panno di lana in luogo caldo e umido per circa un'ora.

COMPOSIZIONE DEL PIATTO
Mettere il couscous riposato in uno stampino di forma cilindrica o avvalersi di un tagliapasta di un'altezza minima di 6 cm con diametro di 10. Disporlo al centro del piatto da portata, adagiare i bastoncini di ortaggi dorati sul couscous, creare con una leggera pressione uno stampino unico e estrarre il tagliapasta. Disporre sul couscous i filetti di pesce tagliati a dadini o piccoli tranci. Per arricchire la decorazione e dare maggiore intensità di sapori, preparare un pesto verde frullando un po' di pistacchi, olive, basilico abbondante e olio d'oliva con qualche cubetto di ghiaccio. Una volta ottenuto il pesto, si versa sul couscous con un cucchiaio, o, con un pennello per i più creativi. Aggiungere qualche filo di erba cipollina intero sulla composizione e spolverare il tutto con farina di pistacchio. Aggiungere un filo di olio extravergine di oliva a crudo, naturalmente da cultivar tipiche del trapanese: biancorilla e cerasuola, in blend con la piu’ famosa Nocellara del Belice.Predisporre delle piccole salsiere dove sarà servita la zuppetta di pesce fumante da versare sul couscous a piacimento.

L’abbinamento cibo - vino è territoriale: il vino è il Marsala Vergine ben freddo, tra tutti, Marco de Bartoli, Florio, Pellegrino.Il Vino Marsala Vergine rappresenta la soluzione migliore per contrastare i grassi che caratterizzano questo piatto. L'abbinamento trova radici nell'antica tradizione culinaria di Trapani e Marsala, quando nelle tavole gli unici vini che si bevevano erano quelli ad alto grado (16°/18°) ottenuti da uve Grillo. L'evoluzione di questi vini è rappresentata dagli attuali Marsala Vergine che ottenuti con meno alcool aggiunto, costituiscono l'accompagnamento ideale per questo piatto unico dal gusto forte, ricco, intenso, complesso e di profumi e aromi persistenti che solo un buon Marsala Vergine può bilanciare, accompagnare e pulire. Devo dire che anche l’abbinamento con il Grillo in versione ferma funziona benissimo su tutte le varie versioni di cous cous: quella araba di carne e legumi, e quelle siciliane di verdure, di crostacei, e alla “muciara” con tonno e finocchietto. Ho praticamente fatto un cous cous tour per 15 giorni in tanti ristoranti di tutto il trapanese, soltanto lo chef Peppe Buffa, Patron de Al Ritrovo di Castelluzzo,
(0923.975656) al quale dedicherò una puntata speciale. Avrete capito che per fare un buon couscous ci vogliono due giorni, non lasciatevi ingannare dalle turistiche versioni precotte!

I produttori dell’Aglio Rosso di Nubia
Associazione Produttori Aglio Rosso di Nubia
Trapani
Via Santa Maria di Capua, 1
Tel. 0923 873844
info@agliorossodinubia.it
www.agliorossodinubia.it

I Responsabili del Presidio
Franco Saccà, tel. 0923 559490 francosac@libero.it; Filippo Salerno, tel. 0923 873844 - 347 6673002 - filipposalerno@trapaniweb.it


Dimenticavo ….il trionfo dell’aglio Rosso di Nubia è a colazione, di prima mattina, altro che cornetto e cappuccino…. “Pani cunzatu”(conciato) caldo e croccante con aglio, pomodoro, origano, acciughe e olio extravergine di oliva ovviamente di Nocellara del Belice, delicatamente fruttato al naso, con ingresso apparentemente morbido che vira ben presto verso un delizioso piccante (ottime le versioni di Planeta, Geraci e Barbera) e un buon bicchiere di Grillo, ne ho provati diversi, grande annata la 2008 per questo vitigno autoctono simbolo della Sicilia.

Il mio Vesuvinum di Angelo Peretti


richiamo con grande piacere, l'articolo del collega Angelo Peretti, già pubblicato da Luciano Pignataro WineBlog e Internet Gourmet, sulle sue impressioni di giornalista degustatore di Bardolino e di Soave, della tre giorni passata con noi a Vesuvinum, I giorni del Lacryma Christi dall'11 al 13 settembre.

"Angelo Peretti

Contraddizioni: è il termine che spesso usano i settentrionali che vanno al sud. Vi trovano mille contraddizioni. Le memorie della storia contrapposte alle montagne di rifiuti nelle strade, l’intensità dei sapori contrastata alla rabbia per i disservizi diffusi, lo splendore del sole che riluce sulla decadenza dei centri urbani, il calore umano annichilito dal lassismo, la fantasia che cozza col fatalismo.Ora, gli è che essendo stato la scorsa settimana a Ottaviano, terra del Vesuvio, due passi da Napoli, di contraddizioni me n’è piovuta addosso un’altra, e inaspettata: la puntualità svizzera degli organizzatori di Vesuvinum - la rassegna enologica di quelle terre -, contrapposta a quell’idea di quasi assoluta noncuranza dei tempi e degli appuntamenti che avevo altre volte toccato con mano in Campania. Insomma: se a Ottaviano ti dicevano che la tal cosa si faceva alle nove e un quarto del mattino, alle nove e un quarto erano lì, pronti ad agire. E che il mondo del vino del Vesuvio si stia proiettando verso ritmi e stili diciamo “moderni” l’ho notato anche dalla cura del packaging, dalla grinta del design: bottiglie con tant’etichette che sono gioiellini di grafica. Da far invidia.Il titolo esatto della kermesse è "Vesuvinum - I Giorni del Lacryma Christi", ché proprio al Lacryma Christi, in bianco e in rosso, è votata. Il format è della Strada del vino Vesuvio (e dei prodotti tipici vesuviani), presieduta da un vulcanico - mi si permetta il gioco di parole - Michele Romano, uomo dalle idee chiare, vigneron e negociant, erede d’una tradizione di commercio enoico. E insieme a lui collabora Luciano Pignataro, simbolo di coloro che scrivono di vino del sud. È a gente come questa che va riconosciuto il merito di quel rinascimento vitivinicolo che sta caratterizzando il territorio campano.Ora però, visto che ho parlato prima di contraddizioni, ne dico una mia: pur non piacendomi in genere i concorsi enologici, ho accettato d’essere fra i degustatori della giuria della seconda edizione del premio intitolato alla memoria di Amodio Pesce. Concorso tutto e solo dedicato al Lacryma Christi, in bianco, in rosso e, poco poco, in rosato. Ma mi sembrava una buona occasione di farmi un quadro generale della situazione prima d’avvicinare singolarmente qualche produttore. Eppoi, quest’è un concorso interessante, un buon modello di riferimento, ché mica premiano a pioggia: un vincitore solo per categoria, e condivido. “È un’occasione per verificare a che punto siamo, e dunque per crescere” m’hanno spiegato, e nuovamente condivido.Che idea me ne son fatto? Che si viaggia a due velocità: da una parte chi è ancora rigidamente e ostinatamente ancorato a una tradizione deleteria, che conduce a vini stanchi, seduti, talvolta ossidati, e dall’altra chi guarda avanti, e applica impostazioni enologiche aggiornate, e s’impegna a dare eleganza, freschezza, personalità, carattere ai suoi vini. E la divaricazione enologica la si nota soprattutto nei rossi. C’è sicuramente ancora molto da fare in parecchie cantine del Lacryma Christi, ma la strada giusta è già stata intrapresa, e i primi risultati son di valore. E dunque non potrà che andar bene.Certo ci son da affrontare anche oggettivi ostacoli strutturali. Mica tutti hanno i quattrini per prendersi attrezzature - oh, se servirebbero maggiori refrigerazioni sui bianchi! - e consulenti. E anche un più lungo affinamento dei rossi - che stando a quel che ho tastato mi pare giovi parecchio - è un lusso avvicinabile solo a chi si può permettere di comprar botti nuove e tener lì il vino un anno o due, immobilizzato. In ogni caso, dicevo, la via è intrapresa, e c’è gente che fa vini di sicuro interesse.Ma un’osservazione mi sento di farla anche a chi meglio s’ingegna in vigna e in cantina: sarà colpa mia, sarà una sintonia che non ho potuto costruire in così poco tempo, ma nei bicchieri il vulcano - il Vesuvio - non m’è parso di trovarlo granché. M’aspettavo più zolfo, più vene minerali, più nervosismo sanguigno. Invece li ho raramente percepiti. Ecco, il prossimo passo sarà probabilmente questo: mettere più in luce il territorio.Vedo che sono andato lungo, e dunque chiudo qui, per ora, dicendo i nomi dei vincitori delle quattro categorie del concorso. Darò in un altro intervento maggiori dettagli d’alcuni vini che mi son piaciuti. Ma avverto: i premiati son fra quelli che, appunto, mi son più piaciuti. Ordunque, fra i bianchi s’è imposto il Lacryma Christi 2008 di Mastroberardino. Fra i rosati, successo del Lacryma Christi 2008 targato Sorrentino. Fra i rossi d’annata affermazione del Lacryma Christi 2008 Vesevus, mentre nella categoria dei rossi affinati ha avuto la meglio il Lacryma Christi Forgiato 2004 di Villa Dora.Ripeto: ne parlerò in un nuovo pezzo. A presto.Per ora aggiungo solo: bravi. A Romano, a Pignataro, a Pasquale Brillante (nella foto c'è lui coi premiati) e al suo staff dell'Ais, agli organizzatori. Bravi. "

Grazie Angelo....ti aspettiamo per prossime vulcaniche degustazioni!

19 ottobre 2009, parte il Prmo livello del Corso Ais Comuni Vesuviani


Il 19 ottobre corso Sommelier Ais di primo livello della delegazione COMUNI VESUVIANI.

Le iscrizioni al corso di primo livello dell'AIS COMUNI VESUVIANI sono aperte. Il corso partirà il 19 ottobre presso il ristorante Gianni al Vesuvio, in via Vesuvio n°10 Ercolano (NA) alle ore 20. Per informazioni www.aiscomunivesuviani.com tel.3476410521.

finalmente sarà possibile diventare Sommelier all'ombra del vulcano piu' famoso del mondo : il Vesuvio, eccezionale terroir del lacryma Christi