Sarà presentata al Palazzo della Gran Guardia, il 5 aprile, sarà l’evento che precederà l’apertura di Vinitaly, storica fiera del nostro vino. OperaWine è l’incontro tra 500 importatori e esperti soprattutto dall’estero e i 100 produttori con il loro vino-bandiera, quello destinato al mercato internazionale. Il vino d’Italia da far viaggiare nel mondo. Quello dei grandi e quello dei piccoli vignaioli e della loro sapienza artigianale. OperaWine è la vetrina delle nostre vigne secondo il gusto americano. Per vendere in America (e altrove) quello che non si vende più qui.
Chi sarà esposto, quest’anno, in vetrina? Le famiglie storiche: Antinori, Frescobaldi, Ricasoli. Gli «ambasciatori» già noti da tempo sul mercato mondiale: Angelo Gaja e altri piemontesi come Bruno Giacosa, i Bologna della Barbera di Braida, i Ceretto e i Mascarello del Barolo, i Lunelli delle Cantine Ferrari, i Moretti della Franciacorta (Bellavista) con Maurizio Zanella (Ca’del Bosco), i veneti dell’Amarone e del Prosecco. L’armata toscana: il gruppone del Brunello (da Altesino a Valdicava), i chiantigiani e i loro castelli (Ama, Fonteruoli, Volpaia e Castellare di Castellina), gli alfieri di Bolgheri e dei SuperTuscan con in testa Mario Incisa, l’uomo del Sassicaia. Gli umbri Lungarotti, i Mastroberardino del Taurasi irpino, i Librandi del Cirò calabrese, i sardi Argiolas con i loro Cannonau, i Tasca d’Almerita con il primo vino siciliano a varcare i confini, il Rosso del conte. I classici, insomma. Ma non solo.
Gli americani sono cambiati, spiega Tom Matthews, executive editor di Wine spectator:
«Hanno capito che l’Italia può produrre grandi vini, e sono disposti a pagarne il valore. Ma hanno anche cominciato a esplorare l’Italia, alla ricerca di vitigni autoctoni e stili tradizionali: i bianchi dell’Alto Adige , il vero Lambrusco, i rossi e i bianchi siciliani, il grande Aglianico del Sud».
L’idea dell’anno, secondo Matthews «è di valorizzare anche le cantine più piccole delle regioni meno conosciute. Se i viticoltori rispettano le loro radici, scelgono vitigni autoctoni, lavorano in modo artigianale, i vini italiani troveranno consumatori entusiasti negli Stati Uniti».
"Ritengo tuttavia che l'affermazione di cui sopra di Tom Matthews, executive editor di Wine Spectator sia in totale controtendenza rispetto alle cantine scelte: qui di cantine piccole non ce ne sono, ci sono vitigni autoctoni ma non certamente artigiani della vigna, in particolare per la Campania, la fotografia che ne vien fuori è arretrata di almeno vent'anni rispetto al fermento e alle tante nuove piccole realtà d'eccellenza presenti in regione"