lunedì 27 dicembre 2010

Napoli, Trattoria Nennella. 60 anni di cucina di casa nei Quartieri Spagnoli

Vico Lungo Teatro Nuovo - Quartieri Spagnoli
Trattoria Nennella dal 1949
Vico Lungo Teatro Nuovo 103
Tel.081 41 43 38
Aperto: pranzo e cena
Chiuso: domenica
Ferie: 20 gg. ad agosto, 25, 26 e 31 dicembre

Siamo in pieno dopoguerra a Napoli, nei quartieri spagnoli, come nel resto della città, ci si arrangia, soprattutto si fanno “affari” con i militari americani in libera uscita per le vie del centro. Quando si vuole indicare il quartiere “Montecalvario” di Napoli, è sufficiente dire “’ncopp’e quartieri”, un’area più o meno indefinita tra il Corso Vittorio Emanuele e Via Roma ex Via Toledo. La storia della trattoria di Nennella (affettuoso vezzeggiativo dialettale che si dà alle bambine e  alle donne minute) parte proprio nell’immediato dopoguerra, quando Nennella, al secolo Elisabetta Vitiello, per sbarcare il lunario, apre un piccolo ristoro, poco più sopra dell’attuale trattoria, dove dava “‘o bbere ‘e ‘mericani”, ovvero vendeva whisky, caffè e preparava anche, “ ‘e marenne pè scupature ‘a matina” ( la colazione di mezzogiorno per i netturbini). Alle bevande e alle colazioni, si aggiunsero un paio di piatti caldi storici: “’a zuppa ‘e carna cotta” (la trippa) e pasta fagioli. Dal piccolo “buco” di Vico Teatro Nuovo, si passa alla prima saletta con quattro tavoli e un bancone dove si cucinava a vista.
2009 la festa del vicolo per i 60 anni della Trattoria: 2000 autoinvitati
La famiglia cresce, nasce Pasquale che farà poi prosperare l’attività, mettendo a lavorare tutta la famiglia fino al 2005 anno della sua scomparsa. Al timone restano le donne, Nennella 2, ovvero Concetta la moglie di Pasquale e Nennella 3, Rita, la giovane moglie di uno dei figli di Pasquale, Mariano. In trattoria collaborano tutti gli altri fratelli e sorelle: Ciro, Gennaro, Salvatore e Geltrude, oltre a una squadra di calcio di nipoti e cugini. 60 anni fa circa 12 posti, oggi la trattoria  ha più di 120 coperti in  tre sale interne, uno spazio all’aperto nel vicolo, con tanto di permesso, e una piccola sala poco più sopra, voluta da Rita, Nennella 3, con pochi tavoli riservati, una specie di camera da pranzo di casa propria per occasioni speciali.  Il menù ovviamente cambia ogni giorno, ogni componente della famiglia ha compiti precisi: spesa ai vari mercati storici di città, sala e cucina. Ci sono poi tre compiti molto particolari: recitare il menù a voce (esiste anche la versione stampata), gestire le lunghe file di attesa e far alzare dai tavoli le persone che hanno già  pranzato, per lasciare il posto agli altri. Al centro della sala pende un paniere, ogni tanto si sente una voce: “uagliù acalate ‘o panaro!” (ragazzi tirate giù il paniere), alla risalita del paniere , si alza dalla sala un corale “grazie”! Ok il paniere serve per le mance al personale.
" acalate 'o panaro"
L’inquadramento socio-culturale è importante per capire la valenza di questi luoghi della memoria, per fortuna ancora esistenti e frequentati da un pubblico estremamente eterogeneo, studenti, famiglie, eleganti impiegati delle vicine banche e uffici e gruppi di ragazzi la sera. Si mangia già dalle 12,00 e si va avanti anche fino alle 16,00 per poi riprendere la sera. Il pranzo completo prevede antipasto, primo, secondo, contorno, pane, frutta, acqua e vino della casa. Il menù non è fisso, anzi prevede una vasta e fresca scelta. L’antipasto è il classico napoletano, crocchè di patate, arancini di riso, rigorosamente fatti alla vecchia maniera, olive, verdure grigliate, salame napoli.
l'antipasto napoletano, veri crocchè ed arancini come quelli di mammà
Per i primi l’offerta è varia e appetitosa e cambia con la stagione: pasta e patate con la provola, pasta e fagioli, pasta e ceci, pasta e lenticchie, pasta e piselli, spaghetti olive e capperi, la cd”puttanesca”, al filetto di pomodoro e profumato basilico, minestra di scarole e fagioli, vermicelli con i “lupini”, (vongole comuni, diverse da quelle veraci, ma, altrettanto saporite) e ancora la pasta al forno, il gattò di patate, la lasagna, e gli immancabili ragù e genovese. Quest’ultima è prerogativa di Nennella 2, da sola sbuccia 40 kg di cipolle bionde, spandendo il profumo per tutto il vicolo, sceglie la carne giusta, nessuno deve intromettersi.
Nennella 2, Immacolata con il figlio Mariano in cucina, sposò il marito Pasquale suo dirimpettaio, ma non lo voleva perchè aveva la testa troppo grossa. Si sono adorati fino al 2005 anno della scomparsa di Pasquale.oggi è lei che comanda in cucina.
pasta mischiata e patate con la provola
la "puttanesca"
Altrettanto ricca la lista dei secondi, fragranti “alicelle” di Pozzuoli indorate e fritte, baccalà, pollo arrosto, “tracchie” (spuntature di maiale) arrostite, polpette fritte o al sugo, polpette di ricotta, mozzarella di bufala freschissima, mozzarella “in carrozza” o alla caprese. I contorni ci riportano all’incredibile fantasia dei napoletani  di cucinare le verdure in ogni modo: i classici “friarielli” saltati in padella con peperoncino, peperoni in padella o al “grattè”, parmigiana di melanzane, funghi trifolati, peperoncini verdi fritti al pomodoro, fagiolini, patate e carote lesse, patate fritte o al forno, spinaci e broccoli. Il pane è cotto a legna in uno dei forni storici della zona collinare della città, viene ritirato in due infornate per averlo sempre fresco, al mattino e nel primo pomeriggio.
le alici indorate e fritte dal mercato del pesce di Pozzuoli
salsicce, friarielli e melanzane sale e pepe
Per il caffè pochi passi e avrete solo l’imbarazzo della scelta su Via Roma. Per il dolce nello stesso vicolo si trova la storica pasticceria Ranaldi, paradiso dei golosi.
Il servizio è essenziale e più veloce di Mcdonald, in compenso per 10 euro (dico dieci) mangerete, serviti a tavola, dall’antipasto alla frutta, un decoroso aglianico e piedi rosso sfuso di Monte di Procida. Qui, come nella migliore tradizione napoletana, “il cucinato” è anche da asporto, per circa 8 euro porterete a casa un pasto completo bevande escluse.Un vero affare, non solo per la cucina e il valore incalcolabile di una tradizione che continua, ma anche, per la straordinaria atmosfera di verace e ironica napoletanità, per niente folkloristica, che si respira a casa di Nennella, dove si fa anche la raccolta differenziata…
la traduzione nel cartello qui sotto:)...

Vini e Cucina dal 1913, tre generazioni ai fornelli in via Piedigrotta tra carri e canzoni

Mamma Luisa alle prese con le alici, qui dal 1913 nel cuore di Piedigrotta

Totò, Eduardo e Pasta e Fagioli. Da cinquant’anni al Corso Vittorio Emanuele, la strada più lunga di Napoli

uno spaccato di rara umanità...


Mario Bianchini, l'oste
Corso Vittorio Emanuele 514
Tel.081.564 26 23
Chiusura: lunedì
Aperto a pranzo e cena
Carte di credito, bancomat, buoni pasto: si
Ferie:10 giorni in agosto
Il Corso Vittorio Emanuele, nasce tra il 1853 e il 1860 col nome di Corso Maria Teresa e la sua realizzazione si deve alla volontà di Ferdinando II che ne commissionò il progetto all’architetto ed urbanista Errico Alvino, con l’intento di poter avere un asse viario che mettesse in diretto collegamento due parti della città poste agli antipodi e, soprattutto, la città bassa col quartiere del Vomero. La strada si snoda per 4.5 chilometri, dall’attuale piazza Mazzini sino a via Piedigrotta, lambendo la collina del Vomero con un andamento sinuoso e per larghi tratti panoramico.
il Corso Vittorio Emanuele oggi sul marciapiede sinistro c'è l'osteria
L’apertura di questa strada, in un’epoca in cui le colline erano ancora territori incontaminati, coltivati ad orti e vigne, mirava a dotare Napoli di una sorta di primitiva “tangenziale”, che agevolasse gli spostamenti da una parte all’altra della città. Eleganti edifici, soprattutto sul versante occidentale, belle affacciate sul golfo, gli attraversamenti delle antiche salite per il Vomero e la presenza del singolare Castello Aselmeyer sono le principali caratteristiche del corso Vittorio Emanuele. Numerosi anche i collegamenti con il trasporto su ferro: lungo la strada si trovano tre stazioni intermedie delle funicolari ed una fermata della ferrovia Cumana.
la fermata della funicolare del Corso Vittorio Emanuele com'èra
Il Castello Aselmeyer, o più correttamente, Castello Grifeo dei principi di Partanna, è una residenza ubicata in Corso Vittorio Emanuele, eretta dall’architetto anglo-napoletano Lamont Young nel 1902 come dimora personale e due anni dopo venduto al banchiere Carlo Aselmeyer.
Il Castello Grifeo dei principi di Partanna
Napoli è cresciuta sul tufo giallo, sulla pozzolana e sulle rocce generate dalle antiche eruzioni del vulcanismo dei Campi Flegrei, ha quindi  sempre sfruttato la pietra dei suoi colli e del fondo delle sue valli per crescere verso l’alto, avendo perciò bisogno di essere collegata da sistemi di scale, calate, salite e discese.  A pochi passi da Piazza Mazzini, scendendo per meno di un chilometro per Via Salvator Rosa e svoltando a destra in Via Francesco Saverio Correra, vi troverete nel mezzo di quella strada che tutti i napoletani conoscono con il nome storico di “Cavone”,
Via Francesco Saverio Correra, il "Cavone"
Si tratta di una strada poco più larga di un vicolo che da Piazza Mazzini conduce dopo circa 600 mt a Piazza Dante. E’ una discesa sommersa tra 80 palazzi e 200 “bassi”, più di 500 famiglie e 2000 residenti con storie di vita della Napoli di una volta che risalgono all’immediato dopoguerra e che ho raccolto per testimonianza diretta: “la parte verso piazza Dante era ricca di botteghe di frutta e ortaggi e piccole salumerie. Sulla sinistra c’era una piccola rivendita con la bancarella esposta sul vicolo dove una bellissima e formosa signora metteva in mostra svariate ceste di uova il cui prezzo variava a seconda della grandezza e freschezza. ( chissà se un certo allevatore in Versilia fa lo stesso…) Sempre sulla sinistra, poco più avanti, c’era la scuola elementare, al mattino si vedevano i bambini con i loro grembiulini candidi e fiocchi azzurri correre fino all’ingresso, le mamme facevano a gara per chi avesse il grembiulino più pulito e meglio stirato, al ritorno poi, quante macchie (la penna biro ancora non era stata inventata). Molti abitanti del “Cavone” ospitavano studenti universitari e si poteva osservarli intenti a studiare sui terrazzini o sui balconcini al tiepido sole invernale. Nel pomeriggio poi, i bambini giocavano per strada, il vicolo rappresentava il prolungamento naturale del basso, era ovvio perciò che molte attività del quotidiano si svolgessero all’aperto, come ad esempio pulire la verdura, cucire, stendere il bucato. Durante lo svolgimento di queste incombenze, il chiacchiericcio era costante: il buongiorno e la buonasera erano la regola se passava un estraneo al vicolo.  Poi c’erano le conversazioni da balcone a balcone e il mitico “panaro” (paniere) che trasportava con un sistema di carrucola oggetti di ogni necessità da balcone a balcone”. Il “Cavone”, in effetti, altro non era che un impluvio, il letto collinare dell’antico Sebeto, nel quale le acque avevano scavato un canyon nel banco tufaceo mettendo il tufo a vista e favorendo un’intensa estrazione. Scomparso il Sebeto, il suo letto diventò una strada lungo la quale s’insediarono numerosi “fondaci”, nei quali i mercanti depositavano le mercanzie che esponevano in Piazza Mercatello, all’epoca fuori dalle mura, oggi Piazza Dante. Con l’espandersi della città anche il Cavone fu urbanizzato e persino i suoi fondaci, dove ancora oggi su alcune lapidi si legge: “basso non utilizzabile come abitazione”, diventarono abitazioni. “Il Cavone era il mercato del quartiere, tra Piazza Dante e il Museo c’era una drogheria che vendeva di tutto: sapone di piazza di color marrone gommoso conservato nei barili, legumi, dolciumi per bambini, pasta sfusa tenuta nei cassetti con la carta blu dei maccheroni, conserve di pomodoro a peso. Queste attività, come “‘o ferraro” (il fabbro), “‘o baccalaiuolo”, e “l’acquafrescaio” che vendeva limonate e acqua ferrata al Museo”
l' acquafrescaio
oggi non ci sono più. Rimangono gli antichi palazzi nobiliari abitati dalle famiglie borghesi e i “bassi” del popolo in una commistione normale per quei tempi, dove, sotto le bombe non c’èra differenza, il ricovero era uno solo. Lungo il Cavone resta la cappella Ulloa, una delle chiese monumentali di Napoli, sita nel centro storico della città, in piazzetta Cappelluccia.
la Cappella Ulloa
Alcuni dei palazzi nobiliari sono stati restaurati e riconvertiti in originali hotel tra cui l’Hotel Correra 241, il primo Art Hotel di Napoli, addossato ad un banco di tufo da cui parte un antico acquedotto greco-romano. Risalendo verso il Corso, proprio all’angolo, prima della discesa di Salvator Rosa e del Cavone, in direzione Piazza Mazzini, al n. 514 c’è l’Osteria Toto’, Eduardo…e pasta e fagioli. Una volta, mi racconta il proprietario Mario Bianchini, napoletano con lontane origini toscane, questa posizione era ideale, grazie alle scale di Napoli, antichi percorsi pedonali che congiungono le colline con il centro e la costa. Il Corso Vittorio Emanuele con le sue calate, discese, salite e pedamentine ne è una salda testimonianza. Il Petraio è una zona di Napoli
il Petraio,la zona popolare
che prende il nome dell’omonimo borgo (Salita del Petraio, Gradini del Petraio, Vico del Petraio, Discesa del Petraio ) sulla collina del Vomero. Il termine Petraio non deriva dal nome di una cava di pietre, ma da un luogo dove le piogge alluvionali depositano i ciottoli; il tracciato della salita ricalca quello di uno dei tanti alvei alluvionali del Vomero, dove successivamente venne realizzato un borgo che con il passare degli anni è diventato un luogo per famiglie benestanti. Oggi nel quartiere sono presenti architetture di Liberty napoletano realizzate nei primi anni del XX secolo e successivamente, durante la speculazione, sono stati costruiti numerosi palazzi in calcestruzzo armato che l’hanno resa una zona con alta densità residenziale.
il Petraio, le costruzioni residenziali
La Pedamentina di San Martino parte dall’omonimo largo sulla sommità del Vomero, una lunga via gradinata che, con 414 gradoni, permette di scendere fino alla città bassa, ricongiungendosi con Corso Vittorio Emanuele. E’ con ogni probabilità il più antico percorso di accesso al Vomero (esisteva già a metà Cinquecento), utilizzato in passato per raggiungere il Castel S.Elmo, e per questo dotato di sistemi di difesa contro gli assalti nemici. Lungo il percorso, si incontrano vecchie abitazioni, notevoli viste sul panorama del centro storico, e si costeggiano i giardini e le vigne della Certosa di San Martino da ieri 16 dicembre, monumento nazionale.
la vigna di San Martino - Monumento nazionale
Dalla magnifica terrazza dell’Osteria di Mario Bianchini si vedono le Scale di Sant’Antonio ai Monti e l’Olivella che conduce alla zona della Pignasecca. Il nome originario dell’osteria doveva essere “ Totò, Peppino e pasta e fagioli”,
Eduardo de Filippo e Toto' il Principe Antonio de Curtis
poi, per un disguido burocratico Peppino è stato sostituito dall’altrettanto mitico Eduardo. L’importante è che non sia stato sostituito Totò, il Principe de Curtis, perché la moglie di Mario, Rosaria De Curtis è parente del principe napoletano per antonomasia, nato nel Rione Sanità. Il locale, oggi si trova nel caos del Corso Vittorio Emanuele, sommerso da mille attività, traffico, motorini, la vicina facoltà universitaria del Suor Orsola Benincasa,
L'istituto universitario del Suor Orsola Benincasa
lo svincolo che porta alla tangenziale e le difficoltà di trovare parcheggio. Mario non si arrende, sul marciapiede di fronte l’osteria ci sono una serie di garages di amici sempre pronti ad ospitare le auto dei clienti. Un po’ di anni fa – mi racconta Mario – non c’èrano garages ma piccole botteghe, tappezzieri, un barbiere e qualche basso, ora è tutto sparito, annullato, nel bene e nel male,  dall’invasione della modernità.
i bassi di una volta
Totò, Eduardo e pasta e fagioli non è sempre stata un’osteria, negli anni precedenti al dopoguerra era una semplice mescita di vino
da mescita a osteria
e tale è rimasta fino alla fine degli anni ’70, quando Mario, cuoco autodidatta, allievo di mamma Anna, lo rileva per farne una semplice osteria con i piatti della tradizione napoletana. La storia di Mario è simile a quella di molti della sua generazione: ultimo di sei figli, poca voglia di studiare, comincia con lavoretti vari e a 12 anni entra in cucina dalla Pizzeria Gorizia, dove oltre a fare il “ragazzo” , comincia rubare il mestiere allo chef. Una volta cresciuto trova un posto come capo cuoco alla mensa dell’Alfa Sud di Pomigliano d’Arco, un malore lo costringe a lasciare la fabbrica, qualche esperienza al Nord, poi il rientro a Napoli, in cucina da Ettore in Via Gennaro Serra e da Amici Miei. Da circa trent’anni, Mario Bianchini, con l’aiuto saltuario dei due figli Gaetano e Francesco e della moglie Rosaria quando non è impegnata nell’altro locale storico di famiglia, l’Alimentari – tavola calda De Curtis in via Alabardieri, abita praticamente nella cucina dell’osteria, aperta a pranzo e cena. La cucina è davvero quella di casa, non solo per la classicità dei piatti proposti, ma per i sapori identici a quelli domestici. Il menù non è particolarmente ricco in termini di numero di piatti proposti, ma la genuinità dei sapori è emozionante e fortemente evocativa. I prodotti usati in cucina sono eccellenti, la cordialità e la semplicità altrettanto, un paio di episodi mi fanno capire tanto del modo di essere di Mario: un lunedì – giorno di chiusura – fuochi spenti, capita una coppia di turisti, non sanno dove andare, Mario accende i fornelli e non chiede il conto; un gruppo di  studenti finisce il pranzo, i ragazzi si rendono conto di non avere soldi a sufficienza, anche qui Mario non batte ciglio, niente conto. Veniamo ai piatti, il fiore all’occhiello dell’osteria è la pasta e patate con la provola, ora, si fa presto a dire pasta e patate, ma, vi assicuro ( con cognizione di causa) ho assaggiato la migliore pasta e patate con provola, come non la mangiavo da anni: non mancava nulla, il sapore di sottofondo del battuto di verdure e aromi soffritti, la cremosità delle patate, parte intere e parte frullate, la “mescafrancesca” perfettamente al dente, provola perfettamente fusa e senza poltiglie, misto di parmigiano e pecorino romano grattugiato e un tocco di piccante, a Napoli diremmo, “‘a uerra”.
pasta e patate con la provola, un capolavoro
Ancora una minestra, pasta e ceci, ritorna la memoria di casa, il modo di cucinare di mia madre, i ceci parte interi e parte in crema, di nuovo pasta mista, spruzzatina di prezzemolo e piccante a piacere.
pasta e ceci
Poi un classico napoletano “‘ O Scarpariello”, per 2 persone: 250 gr. di maccheroncelli o penne;600 gr. di pomodorini freschi per il sugo; 50 gr di strutto o grasso del prosciutto;50 gr. parmigiano grattugiato; 30 gr. pecorino romano; 4 cucchiai di olio extravergine di oliva; 1/2 spicchio d’aglio; peperoncino a piacere o olio piccante ( alla fine il sugo deve essere piccante!); basilico e prezzemolo. La “zuppetta” o “scarpetta” con il pane che Mario fa arrivare da Frattamaggiore è obbligatoria.
'O Scarpariello
Dalla cucina arriva un insistente profumo di cipolla: “ è la genovese, – mi dice Mario – l’ho messa a fare ieri sera, sta finendo di imbrunire.” Uno spettacolo con il pezzo di gallinella morbido come il burro. Ad ora di pranzo l’osteria non è molto piena, questa non è una zona di uffici, gli studenti della vicina università si accontentano della mensa, ecco perchè Mario prepara soltanto primi piatti. naturalmente i secondi espresso sono sempre disponibili.
la genovese, con la cipolla bruna al punto giusto
La sera è una festa, il locale è sempre pieno, meglio prenotare. Si comincia dagli antipasti: la  frittura napoletana, i crocchè di patate e gli arancini veri, provola, prosciutto cotto, pepe e prezzemolo per i crocchè, carne macinata, mozzarella, sugo, piselli e prosciutto per gli arancini. Le montanare, deliziose, bollenti pizzelle fritte condite con sugo di pomodoro, basilico e parmigiano, le paste cresciute e i piccoli ripieni di ricotta e prosciutto, o, scarola e il “pignatiello” di fagioli.
il "pignatiello" di fagioli
Ancora la frittura di “fravaglia”, freschissima presa al mercato in Pignasecca, citando il mitico Lellobrak: “i giovani pesci di una determinata specie (fravaglia ‘e treglia, fravaglie di sarde, d’alici ) e più genericamente l’insieme di novellame (escluso il novellame appena nato: i cosiddetti bianchetti che in napoletano son detti cicenielli) di specie diverse messe in vendita mescolato ed adatto soprattutto alla frittura. Cominciamo a dire che la voce napoletana fravaglia ( che – contrariamente a quanto ritenuto dai piú – io non reputo sia da collegarsi al verbo lat. frangere= spezzare giacché (per quanto si faccia) sia morfologicamente che semanticamente non si riesce a trovar nessi soddisfacenti. Mi pare invece più perseguibile sia per la morfologia, che per la semantica, la strada di un sia pure non attestato neutro plurale *fragalia da un sing. *fragalium = cose odorose intese poi femminili, derivato dal lat. fragare= essere odoroso ); dicevo dunque che la voce napoletana fravaglia è pervenuta con i medesimi significati del napoletano nella lingua nazionale dove però è fragaglia.”.
Gli antipasti proseguono con verdure alla griglia, polipetti alla “luciana”, polpi cotti in casseruola, tradizionalmente di terracotta, insieme a pomodoro, aglio, ulive di Gaeta e capperi.
polipetti alla luciana
Si condisce con pepe e, a fine cottura, si completa con prezzemolo tritato. Non va aggiunta acqua durante la cottura. Un proverbio napoletano, recita, infatti: “‘O purpo se coce int’ all’acqua soja”, il polpo si cuoce nella sua acqua:). Fanno parte degli antipasti alcuni must della cucina napoletana a base di verdure, si tratta tuttavia, di preparazioni talmente ricche e saporite da poter sostituire un intero pasto, stiamo parlando della parmigiana di melanzane, dei peperoni imbottiti e delle zucchine o melanzane a “scarpone”. Durante il periodo migliore dei pomodori di Sorrento, fine primavera – inizio estate, Mario li prepara farciti con il riso alla marinara, o in versione campagnola con riso, carne macinata, mozzarella e piselli.
i pomodori di Sorrento
Tra i primi piatti, oltre a quelli citati sopra, ci sono naturalmente il ragù con la sua carne, gli gnocchi alla sorrentina, i paccheri alla “mammà”, altro piatto forte dell’osteria con ragù, ricotta e mozzarella, la pasta e fagioli, i primi di mare a seconda del mercato e della stagione: spaghetti a vongole, cozze, paccheri con la pescatrice. Tra i secondi la carne la fa da padrone, tutti i pezzi del ragù: tracchie, cotica, salsiccia, polpetta, gallinella. Ancora carne alla brace, agnello, costolette di maiale, scaloppine al vino, o al limone. Sul lato mare c’è un solo pezzo forte, i clienti lo prenotano e arrivano da ogni parte per mangiarlo: il baccalà alla luciana.
il baccalà, foto di Raffaele Bracale
La mozzarella, che può rientrare tra gli antipasti o i secondi, arriva dall’agro aversano. I contorni sono rigorosamente tradizionali: friarielli, peperoni al grattè, melanzane a funghetti e tante insalate.
la mozzarella aversana
I dolci della tradizione napoletana, pastiera, torta caprese, tiramisù e ricotta e pera sono fatti in casa, qualche puntata sui dessert siciliani arriva dalla famosa pasticceria in Corso Vittorio Emanuele, Sapori di Sicilia, altro locale con cinquant’anni di storia. Degno della miglior tradizione napoletana il caffè. A scelta ed offerto dalla casa limoncello e amari di vario tipo. La cuenta? Per un pasto completo non si superano i 15 – 18 euro, se si sceglie il baccalà si arriva a 20, incluso il vino della casa, piedirosso o falanghina dei Campi Flegrei. Baccalà, un’insalata e un bicchiere di vino, 10 euro.
una delle salette
Il locale si compone di due deliziose salette in legno, circa 50 coperti e poi c’è il bellissimo terrazzo con vista sul golfo e sul Vesuvio dove durante la bella stagione possono sedere anche 80 persone.  L’atmosfera è davvero casalinga, d’inverno con il freddo si tira un sospiro di sollievo per il calore che Mario dimostra a tutti i suoi clienti e per i magnifici piatti caldi pronti in pochi minuti. D’estate ci si “arricrea” ( consola) per il fresco della terrazza, per l’allegria di Mario e, tutto sommato, per il panorama di una Napoli, che, nonostante tutto, è sempre tra le più belle città del mondo.
Napoli vista dal Corso Vittorio Emanuele
Chiedo a Mario: “ ma non siete stanco, sempre qui dentro”? Mi risponde: “ io amo stare tra la gente, mi manca la Napoli di una volta, quando la gente si salutava, si parlava, mi piace capire le persone, se, per esempio vedo che al tavolo ci sono persone che possono spendere non mi preoccupo se si sale di qualche euro, se vedo che magari c’è un marito che ha fatto sacrifici per portare la moglie a cena fuori pur di  vederla felice, mi commuovo anch’io e gli faccio lo sconto, insomma, erano meglio i bell’ tiemp’’e ‘na vota quann’’a gente se vuleva ‘bbene”. Quasi, quasi sono d’accordo con Mario…

Napoli, Vini e Cucina Moccia. Cinquant’anni di storia di cucina low cost


Trattoria Moccia Vini e Cucina
Corso Vittorio Emanuele 762
tel.081 66 0302

chiuso la domenca sera

 
al Corso Vittorio Emanuele da 50 anni, nulla è cambiato
Napoli, si sa, è la patria del cibo di strada da diversi secoli, l’uso di mangiare con le mani, la pizza, piuttosto che i maccheroni, risale ai tempi dei Borboni. La città è disseminata da sempre, oggi  molto meno, di queste “camere da pranzo” familiari, aperte al pubblico, i  cosiddetti “Vini e Cucina”, trattorie e osterie alla buona,  magari nate come semplici mescite di vino sfuso, alle quali  la buona volontà delle mogli o delle nonne dei  vinai aggiungeva qualche piatto caldo, come la pasta e fagioli o i maccheroni al pomodoro. A Mergellina, più esattamente a Corso Vittorio Emanuele,  da oltre 50 anni ha sede il Vini e Cucina della famiglia Moccia.
I nonni Dolores e Francesco Moccia, prima vinai e poi cuochi a Mergellina di fronte alla stazione

Il luogo più sicuro dove impiantare un’attività era a quei tempi la stazione ferroviaria  non considerata zona di seconda scelta, ma crocevia di andirivieni continuo e quindi ottimo posto per il commercio. Entro  e con grande semplicità, Michele Moccia e suo figlio Alessandro mi fanno segno di accomodarmi ad uno degli otto  tavoli del locale. L’ambiente, come  il servizio, è semplice, tovaglie a quadretti di carta, cestino di pane “cafone” (buonissimo) e posate nel cestino  con tanto di coltello a seghetta di quelli che si usano in famiglia. Il locale è frequentato da impiegati e professionisti della zona a pranzo e da clientela affezionata la sera e la domenica.  Molti si conoscono, le chiacchiere volano da tavolo a tavolo, con la televisione rigorosamente accesa:). La cucina è quella napoletana della tradizione. Ai fornelli la moglie di Michele, Anna e in sala il figlio Alessandro. Il menù non esiste, solo piatti del giorno. Il bancone di antipasti e secondi, come la micro cucina di Anna,  sono a vista: molte verdure,secondo la storica nomea attribuita ai napoletani , ” i magnafoglie”.  Peperoni in padella, peperoncini verdi al pomodoro, verdure grigliate, “friarielli” , e poi il pesce fresco del giorno che Alessandro, responsabile della spesa quotidiana, seleziona da fornitori fidati: pesce spada, alici, aguglie, qualche orata o spigola, tonno fresco, frittura di gamberi e calamari,  e il baccalà che non manca mai. I primi sono sempre non meno di cinque o sei: spaghetti alla vongole, pasta e fagioli, pasta e ceci, bucatini spezzati con la zucca, gnocchi alla sorrentina. La domenica a pranzo, sartù di riso, “pasta al grattè”, pasta al forno con le melanzane, “gattò di patate,  lasagne, la mitica “genovese” e il classsico ragù con gli ziti spezzati.
pasta e fagioli, rigorosamente con pasta mischiata e peperoncino
da sx Anna, Alessandro e Michele Moccia
gli spaghetti a vongole in bianco

I secondi di carne sono altrettanto casalinghi: la carne alla pizzaiola, le scaloppine, le salsicce, la “braciola” che a Napoli è la tasca di vitello piuttosto grande, farcita con uva passa, pinoli, aglio, prezzemolo, uova, pecorino  e poi cotta nel sugo di pomodoro. Anche i dolci sono quelli storici napoletani, fatti in casa da Anna: la torta caprese, il babà, la pastiera, il tiramisù, la millefoglie crema e amarene. I piatti sono senza fronzoli, non untuosi, una cucina pulita che non ti distrugge il fegato. Per il vino, come spesso in questi posti, è lo sfuso che la fa da padrone, qui arriva da Gragnano. Volendo c’è un picola scelta di bottiglie campane a prezzi davvero umani.
salsiccia alla griglia per i ritardatari qui si mangia anche fino alle 16,00

Ora veniamo al “quid”: per un pasto completo dall’antipasto al dolce spenderete 20 euro incluso il vino della casa; per un primo e un secondo non andrete oltre i 12 euro, secondo e contorno vi costeranno tra gli 8 e i 10 euro, altro che fast food….

Napoli, trattoria Donna Anna. Regina ai fornelli della Torretta dal 1963

DONNA ANNA PAPPALARDO, FANTASTICA ULTRAOTTANTENNE AI FUOCHI DI CIBI COTTI DA SEMPRE





Napoli, Trattoria Da Ettore: 90 anni di ristorazione alle spalle di Piazza Plebiscito

Le ultime generazioni: da dx papà Giuseppe, mamma Angela e i figli Ettore e Raffaele Denis
Via Gennaro Serra 39
Tel. 081. 7643578
Aperti: tutti i giorni a pranzo e dal giovedì al sabato a cena
Chiusi: domenica e lunedì sera
Orari: dalle 12 alle 15, 30, dalle 20, 00 alle 23,00
Ferie: Agosto
Carte di credito e bancomat: si

di Giulia Cannada Bartoli
Partendo da Piazza Trieste e Trento, c’è una strada all’’angolo della quale c’è il famoso Caffè Gambrinus, dove, nell’aprile del 1892, Matilde Serao, inaugurò il Mattino, destinato a diventare il quotidiano più importante del Mezzogiorno d’Italia.  In quest’angolo inizia Via Chiaia: percorrendola per qualche decina di metri c’è una piazzetta, Largo Carolina intitolata alla sorella di Napoleone Bonaparte che fu regina di Napoli in quanto moglie di Gioacchino Murat. Da qui parte una stradina in salita, stretta e caotica,  Via Gennaro Serra che porta alla collina di Pizzofalcone o Monte Echia che forse ospitò il primo centro di quell’abitato, che sarebbe poi divenuto Napoli.
Intorno al 1561 il marchese di Trevico Ferrante Loffredo offrì un suolo ai domenicani i quali costruirono un imponente complesso monastico per cui dopo di allora la collina venne chiamata anche Monte di Dio, arteria pulsante della zona, nel ‘700 ospitò le più famose residenze monumentali di Napoli, qui si trovano una serie di palazzi di grande rilievo artistico appartenenti alle famiglie nobili, oggi ambite e costose abitazioni e il collegio dell’Annunziatella detto comunemente Nunziatella.
uno dei tanti portoni dei palazzi nobiliari del quartiere, oggi residenze ambitissime
Bene,  mi fermo al n. 39 di Via Gennaro Serra, dove dal 1920 c’è la trattoria Da Ettore.
il piccolo ingresso
la sala tutta in legno con travi
Inizialmente il locale si chiamava “da Liliana” ed era una latteria dove la proprietaria cucinava qualche piatto caldo. Poi nonno  Ettore Denis la trasformò in vera e propria trattoria. Di fronte un panificio di sua proprietà che produceva ogni tipo di pane ed è rimasto aperto fino al 1988, per poi cedere il posto, alla sua morte, ad una comune rosticceria. Il cognome di questa famiglia ha origini francesi, (Deny) il nonno era nato a Torino, poi trasferito a Napoli per lavoro, il cognome si tramutò in Denis. Siamo molto pochi, mi racconta Raffaele, chissà, forse siamo parenti dell’ex calciatore del Napoli:). In trattoria si lavora da tre generazioni: nonno Ettore, il figlio Giuseppe ancora oggi super attivo con la moglie Angela i due figli Ettore e Raffaele. Lei è ai fornelli,  lui si divide tra fornelli e sala, Giuseppe passa dai fornelli alla sala, oltre a far la spesa ogni mattina cercando il meglio in zona e nei quartieri limitrofi, Ettore si occupa della sala. Nonno Ettore era un vero personaggio, un artista mancato, scriveva poesie, la sera dopo il teatro Politeama, gli artisti cenavano gratis e il “povero cuoco” passava con il cappello per i tavoli perché quella sera per lui non ci sarebbe stata paga. Qui si sono avvicendati grandi nomi del teatro e dello spettacolo: Eduardo De Filippo, Totò, Gina Lollobrigida, Gino Bramieri, Claudio Villa, Nino Taranto, Carla Fracci, Gigi Proietti, Lando Buzzanca, Massimo Ranieri e tanti altri. Il locale è piuttosto piccolo ma messo bene, 8 tavoli, (da 41 a 48, perché al piano di sopra c’è la sala fantasma, mai esistita, ma creata dalla fantasia del vecchio cuoco Tonino, ai fornelli per 30 anni, fino al 2008) tovaglie a quadretti in tessuto, una mise en place un po’ più formale, si vede che siamo in un quartiere che, in parte è un po’ più chic, in parte è ancora molto popolare. Appesi alle travi trionfano gli strumenti antichi della musica napoletana. ” o’ triccaballac, o’ scetavajasse e o’ putipù”.
o' triccaballacche
o' scetavajasse
'o putipù
I Denis non si perdono in chiacchiere, arriva subito al tavolo un cestino di pane dal profumo irresistibile, lo prendiamo a Quarto ( Campi Flegrei) mi informa Raffaele. Il pesce arriva dal famoso mercato popolare in zona Porta Nolana chiamato comunemente tra i Partenopei: Mercato “sopra le mura”, perché sito proprio nella porta che anticamente collegava la parte orientale della città con i villaggi dei “cafoni” e tra i resti delle mura greche ancora miracolosamente erette. La caratteristica principale del mercato è il gran numero di pescivendoli, fissi durante tutto l’anno, ma che sotto Natale, ed in particolar modo nella fatidica notte del 23 dicembre, moltiplicano le vasche dei pesci con certe vere e proprie piscine  dove guizzano e si arrotolano come serpenti  i capitoni. E tutt’intorno, trionfano i frutti di mare, indispensabili per lo spaghetto alle vongole, occhieggiano le “fasolare”, i “taratufoli”, le “telline”, i “lupini”, risplendono le cozze nere e, per i più facoltosi, le grosse ostriche, brutte a guardarsi ma favolose al palato, biancheggiano gli stocchi sotto sale,  i baccalà puzzolenti e saporiti. Non mancano i pesci tradizionali, orate, e spigole, per quelli che “il capitone per Carità mi fa schifo”:)
Angela Denis ai fornelli
I pomodori pelati arrivano dalla zona d’elezione per la produzione, Sant’Egidio di Mont’Albino (Sa) e i freschi sono reperiti in zona, piennolo o pachino. Olio e pasta si mantengono su un filone medio di qualità, De Cecco per l’olio e Garofalo e De Cecco, a seconda dei formati per la pasta. La carne arriva da “dietro le case nuove” un quartiere popolare alle spalle dell’ospedale Loreto Mare, ortaggi e frutta dai mercati della zona di Corso Novara vicino la stazione centrale. Il mio interesse per la provenienza delle materie prime si spiega con la voglia di verificare davvero l’eccellenza del rapporto prezzo- qualità. Il vino della casa, come ho verificato in altre visite ,arriva dalla zona di Bacoli, c’è tuttavia, una piccola e onesta selezione di vini  campani e toscani in bottiglia. Il menù varia ogni giorno, non è scritto  e va con i giorni della settimana come si usava una volta nelle case. Il lunedì, fagioli e scarole, il martedì, gattò di patate, il mercoledì pasta al forno con polpettine, ricotta e provola; il giovedì, naturalmente gnocchi, alla sorrentina o con zucca e provola, oppure orecchiette con i broccoli; o, la mitica genovese; il venerdì, spaghetti con vongole o cozze e baccalà alla siciliana con cipolle, olive e pomodoro; il sabato comanda papà Giuseppe: brodo di carne fatto con la “corazza” o “punta di petto”; la domenica via libera al ragù e la sua carne, ziti spezzati alla genovese con la carne e crostata di tagliolini. La lista dei primi però non è finita, ci sono ancora pasta e fagioli, pasta e ceci con le lagane, tubettini o spaghetti spezzate con le lenticchie, tubetti, piselli freschi cipolla bianca e prosciutto cotto, in primavera, pasta e zucca fagioli e scarole, il minestrone di verdure fresche, la minestra maritata a Pasqua e Natale, spaghetti a vongole o cozze, pasta e patate con la provola. Insomma la tradizione napoletana al completo.
super casalingo gattò di patate
lagane e ceci battezzate e cresimate:)
tradizionale spaghetto e cozze
Anche per i secondi la lista  è lunga e tradizionale, spaziando tra carne e pesce a seconda della disponibilità di mercato: polpette fritte o al ragù, bistecca, carne alla pizzaiola, scaloppine, salsicce alla brace, costolette di maiale con papaccelle ( una sorta di peperone piccante rotondo tipico del periodo natalizio), carne alla genovese o al ragù con braciole e “tracchiulelle” (spuntature), spezzatino o polpettone al forno con patate e poi secondo quello che il mare offre: alici in tortiera o fritte, polipetti affogati alla “luciana” o in insalata, calamari fritti o alla griglia, orate all’acqua pazza o alla brace, pesce spada e frittura di paranza quando capitano fresche.
polpette fritte e "friarielli"
la carne alla genovese
la frittura di alici e calamari
La cucina delle verdure rimanda ancora una volta alla tradizione poliedrica dei napoletani di saper cucinare gli ortaggi in mille modi: parmigiana di melanzane, qui la fanno senza provola, risulta più delicata e dolce; zucchine alla scapece, melanzane alla griglia e poi sott’olio, i friarielli, i peperoncini verdi fritti con il pomodorino del “piennolo”, patate, fagiolini e broccoli lessi, freschissime insalate miste, carciofi affogati con olive e capperi.
parmigiana di melanzane e friarielli
peperoncini verdi fritti al pomodorino
scarole saltate, friarielli, patate lesse, carciofi affogati e zucchine alla scapece
Per i dolci, tranne le mitiche “graffette” fritte di fecola di patate, zucchero e scorzetta di limone di Giuseppe Denis che mi hanno riportato 40 anni indietro, si ricorre ad un maestro pasticciere, Pasticceria “Bellavita Napoli”, che cominciò l’attività 47 anni fa e ancora mantiene alti livelli di qualità e genuinità, tra le sue specialità: babà, sfogliate, torta caprese, dolci natalizi e la cassata nella versione alla siciliana e nella versione alla napoletana.  A Pasqua e Natale mamma Angela si esibisce in pastiera e struffoli.
le "graffine" fritte di patate, con zucchero e scorzetta di limone, un balzo indietro di 40 anni ricordi d'infanzia
Il caffè arriva dal bar di fianco, in cucina non c’è spazio per la macchina a cialde e il tempo per la moka è troppo. Sicuramente qui l’atmosfera è meno “prolet”, vista la frequentazione abituale di artisti del vicino teatro e professionisti della zona, tuttavia, questo non sminuisce l’aria familiare e semplice che vi si respira, sono tutti clienti abituali, all’arrivo e all’uscita salutano come se entrassero o uscissero da casa propria, chiedono di trovare qualche piatto preferito la sera o il giorno dopo. Il filo rosso che unisce tutti questi luoghi visitati finora è l’aria non ingessata che si avverte, le persone si sentono a proprio agio, mangiano bene, spendono poco, esattamente quello che il pubblico gastronomico di oggi ricomincia a chiedere. Veniamo alla vil pecunia: per un pranzo completo con secondo di carne spenderete sui 18 – 20 euro, con secondo di pesce sui 25 euro, per un primo e un secondo con coperto e vino della casa spendere sui 15 euro, per un primo con abbondanti contorni sui 10 – 12 euro, per secondo e contorni sui 12 – 15 euro. D’altra parte qui c’è l’aria del teatro e la possibilità di incontrare artisti famosi da mettere in conto, oltre alla smisurata dedizione e voglia di tramandare tradizioni che andrebbero perse di tutta la famiglia Denis. Ricordate quest’indirizzo.