mercoledì 11 febbraio 2009

UNA GIORNATA A IDENTITA' GOLOSE MILANO 2009

Una domenica a Identità Golose

04/02/2009


il mio pezzo da inviata a Milano per www.lucianopignataro.it


Una grande identità golosa del Mediterraneo: il kebab

A lezione da Pietro Zito, Alfonso Caputo e Francesco Sposito

Quinta edizione di Identità Golose ideata a Milano da Paolo Marchi, curatore dell’omonima guida ai Ristoranti d’Autore in Italia e all’estero: è il piu’ importante show case dell’alta ristorazione italiana e internazionale.
Nuova sede piu’ ampia quest’anno, la fiera in Via Gattamelata, logistica in orizzontale, piu’ semplice per seguire i tanti eventi spesso in contemporanea. Nuove associazioni in partnership : i Jeunes Restaureteurs con la new entry campana di Francesco Sposìto di Taverna Estìa, Le Soste e gli Alumni di Alma, la scuola internazionale di cucina italiana di Colorno.
La vera novità è la nascita di CHIC, Charming Italian Chef, per la Campania partecipano Lino Scarallo il giovane e recentemente stellato Chef di Palazzo Petrucci a Napoli e Paolo Barrale, altra new entry stellata del ristorante Marennà dei Feudi di San Gregorio di Sorbo Serpico. CHIC vuole esprimere il fascino irresistibile della nuova cucina italiana che vuole uscire dai confini nazionali in un periodo storico dove molti vorrebbero chiudersi nella propria cucina. Chic ha esordito domenica sera con un cocktail molto rinforzato. Lino Scarallo ha preparato un “ Raviolo di lingua di vitello ripieno di gamberi crudi, con emulsione di bucce di limone di Sorrento, cimette di friarielli e polvere di cozze”, mentre, Paolo Barrale ha realizzato una “Caponata salernitana” – zuppa fredda di pomodoro del Piennolo , burrata di bufala e alici marinate in casa”.

Veniamo al tema della quinta edizione di Identità Golose: Verdure, Vita, Vent’anni : una visione moderna della cucina che utilizza quanto di buono e vicino arriva dai campi, dagli orti e dal mare, scarsa manipolazione delle materie prime per salvaguardarne tutte le proprietà organolettiche e nutritive senza perdere di vista gusto ed estetica, e, infine attenzione ai giovani chef emergenti. Una regione ospite, le Marche e una nazione straniera, la Francia e poi pasticceria, cioccolato, il mondo del vino e dello zafferano.

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Pietro Zito

Interessante la relazione di Pietro Zito, il grande cuoco pugliese, "l’agricoltore" di Montegrosso in Puglia. Pietro espone in bella vista ortaggi freschissimi, cime di rapa, pomodorini, pane locale raffermo, ottimo olio extravergine d’oliva da monocultivar coratina naturalmente piccante e le orecchiette di grano arso, il grano dei poveri, quello che i contadini raccoglievano dopo la bruciatura delle stoppe, come molti prodotti una volta poveri, oggi diventati d’elite. Pietro comincia la sua avventura negli anni ’90 con la Trattoria Antichi Sapori, a sottolineare l’obiettivo di ritrovare e valorizzare prodotti e sapori semplici della terra. La sua trattoria si trova in piena campagna e bisogna andarci di proposito. Ormai la borgata dei contadini di Montegrosso lavora tutta intorno a Pietro e al suo orto di 15 ettari: il papà di Pietro va in campagna con la carriola tutte le mattine a raccogliere i prodotti di stagione e i contadini e le vecchie signore fanno a gara per pulirli. I suoi primi clienti sono stati quelli quotidiani , con la necessità di mangiare ogni giorno qualcosa di diverso e piu’ sano dell’alimentazione da autostrada. Quindi rappresentanti, agenti di commercio, camionisti e professionisti in viaggio per lavoro. Poi è scattato il passa parola, nel ’96 arriva la giornalista Laura Ruggeri che comincia farlo conoscere fino ad arrivare ad oggi, quando Pietro Zito è ormai leader indiscusso della cucina povera e semplice di territorio, tendenza alla quale tutta la gastronomia sembra, tra discussioni e polemiche, riavvicinarsi a diversi livelli. Il primo piatto che Pietro prepara sotto i nostri occhi sono proprio le orecchiette di grano arso con cime di rapa raccolte il giorno prima, mollica fritta di pane raffermo e buon olio da coratina. Delle cime di rapa non si butta nulla e neanche il pane raffermo va sprecato: ecco allora il pancotto al forno con scarti di rapa lessati e olio crudo. Racconta Pietro che spesso i suoi colleghi grandi e affermati chef, tornano da lui espressamente per mangiare le sue verdure che, dicono, “fanno bene alla pancia”. Le verdure e le erbe selvatiche arrivano dall’alta Murgia e dal Tavoliere e assumono nomi e sapori diversi a seconda della provenienza. L’Alta Murgia è anche terra di fantastici formaggi, la burrata di Andria e per tutti, il fantastico Pecorino canestrato pugliese di diverse stagionature e il caciocavallo del Gargano che Pietro affina in una grotta personale.
Tutto questo lavoro intorno alla terra e alla cucina ha prodotto un grande indotto nel paese, i giovani sono rimasti e gli emigrati sono tornati per ritrovare i sapori di un tempo. Le ricette sono quelle della mamma e della nonna: la cucina della sopravvivenza, quella dell’epoca della fame, alla quale si sta tornando in questo periodo di ormai acclarata recessione. Pietro non si ferma mai, è sempre nell’orto, sta lavorando verso la conversione in biologico di tutta la produzione con tanto di semenzaio in proprio. Nel 2002 fa una scelta drastica e molto discussa, decide di chiudere nel fine settimana, perché quelli sono i giorni della massa , del gran affollamento e, nella maggior parte dei casi, di chi non dà valore ai sapori veri. Apre per divertimento e per scopi didattici la domenica su prenotazione per piccoli gruppi di appassionati o di scolaresche per fare educazione alla terra, passeggiata sulle Murge, si raccoglie e si cucina tutti insieme quello che si mangia.
A Montegrosso la cucina a km 0 non è una novità! I clienti possono persino adottare i propri filari di ortaggi e pomodori e usufruirne liberamente. Altra scelta difficile: riduzione dei coperti da 60 a 30, ampliamento della cucina ora a vista e incremento del personale, tutto a favore della qualità, ai fornelli tre chef Pietro, Nicola e Sabino. Le tecniche di cottura sono lente come quando si cuoceva a legna , si mantiene il giusto equilibrio tra tradizione e innovazione. In sala persino le sedie in legno sono fatte da vecchi artigiani del paese con i pali di castagno dei vigneti. Spesso Pietro lavora in sinergia con le aziende vinicole della zona, tra tutte Agricola Santa Lucia di Roberto Perrone Capano, con il quale ha creato un circuito virtuoso di un modello cibo e vino da esportare in giro per il mondo. Il rapporto prezzo- qualità è straordinario, con 35 euro si mangia dall’antipasto al dolce, grazie al costo ridotto delle materie prime. Pietro ha allargato la diffusione delle sue produzioni anche ai negozi limitrofi di Andria e altri centri dove è possibile acquistare cime di rapa, erbe, zucche, pomodori e tanto altro. Di fianco al ristorante c’è la bottega di Antichi Sapori dove è possibile comprare tutti i prodotti degustati. Una curiosità: Pietro ha fatto un calcolo, utilizzare olio di ottima qualità in cucina costa 0,20 centesimi di euro a pasto! Questo è stato il mio primo incontro: Pietro Zito da Montegrosso, l’archeologo del gusto.

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Alfonso Caputo


Il mio secondo appuntamento è tutto campano: la lezione di Alfonso Caputo, lo chef due stelle Michelin di Taverna del Capitano a Massa Lubrense. Odore di mare in tempesta, Alfonso si appresta a preparare un piatto dai profumi antichi ma di modernissima concezione e tecnica.
Intanto prima di passare a spiegarci il piatto ci racconta la sua filosofia in cucina: grande rispetto delle materie prime, rifiuto della ripetitività, della ricetta standard, il piatto non è mai lo stesso perché la materia prima non è mai uguale a sé stessa, c’è sempre , se pur minima, qualche variazione. I piatti di Alfonso sono destinati ad ogni singolo cliente, non si tratta di preparazioni automatiche, a catena, semplicemente assemblate in cucina. Per Alfonso la cucina non è la catena di montaggio delle grandi brigate, ogni piatto viene preparato al momento ed è frutto di quell’istante. Veniamo ai piatti: due ricette a base di alghe rosse, verdi e rosa, cagliata di latte, scarola, oltre ad un blend in polvere di alghe brevettato, concepito per donare al piatto la massima potenza del gusto e dell’odore del mare, della rete appena tirata, del “malazzeno” di pescatori sulle spiaggette di Massa Lubrense. Alfonso prepara una cagliata a 36° molto consistente, insaporita con il blend di alghe , si aggiunge poi acqua bollente aromatizzata con sale rosa, con il passaggio violento di temperatura la cagliata si riduce in fiocchetti, simili alla spuma del mare in tempesta. Si tratta di una ricetta antica rivisitata con tecniche moderne giocate sulle temperature. Il piatto si presenta in bowl trasparente: brodo di alghe molto caldo, scarola , fiocchetti di caciottina ottenuti dalla cagliata e un pezzetto di pesce crudo che si scotta grazie alla temperatura del brodo.. L’amarognolo della scarola, la tendenza dolce e l’aromaticità della caciottina si fondono con la sapidità del brodo di alghe, dando luogo ad un equilibrio salato naturale che non copre assolutamente il sapore complessivo del piatto.
Terminata ed assaggiata la preparazione., Alfonso ci racconta la storia del ristorante di famiglia che parte dalla cucina costiera assolutamente tradizionale, gli spaghetti a vongole e gli gnocchi ancora oggi non mancano mai nel menu’ della Taverna del Capitano. Le materia prime sono quasi tutte di produzione propria a cominciare dalla conserva di pomodoro e dalla pasta, che dopo anni di esperimenti, Alfonso produce in proprio da semole selezionate, utilizzando una macchina ad estrusione altamente tecnologica. Anche per la pasta, ci racconta Alfonso, “ritorna un aspetto fondamentale della mia cucina, il gioco di temperature”. La ricetta: 1 kg di semola, 300 gr di acqua fredda senza sale ed essiccazione lunga, a temperatura molto piu’ alta di quella esterna, in inverno a 30/35°, l’umidità viene mantenuta in gabbie di legno non esattamente ortodosse dal punto di vista delle Asl. Nelle industrie l’essiccazione è veloce e violenta a circa 80/90° e produce una pasta già cotta, liscia e lucida. Il testimone passato ad Alfonso e sua sorella Mariella, esperta sommelier e donna di comunicazione, scandisce il passaggio dai grandi numeri del ristorante di mamma e papà all’alta ristorazione che ha portato alle due stelle Michelin. Le basi di cucina restano quelle di famiglia, aglio, olio, peperoncino, le porzioni non sono micro ….E’ piacevole fare cose diverse per divertirsi – dice Alfonso – ma la tradizione non va messa da parte, mi diverto a confrontarmi, ad esempio ho imparato da uno stagista giapponese che al caciocavallo è piu’ facile togliere la scorza con il pela patate, utensile che abbiamo sotto il naso tutti i giorni!
Negli stand: prodotti gourmet a cinque stelle, preziosità artigianali e grandi vini, fermi, bollicine e dolci.
Le cantine presenti, salve le eccezioni di Roberto Ceraudo, lungimirante viticoltore e ristoratore calabrese, Le Cantine Pellegrino da Marsala e il Gruppo Giv con le etichette pugliesi, lucane e siciliane, Castello Monaci, Re Manfredi e Tenuta Rapitalà, sono tutte del centro nord: le Marche, la regione ospite ha allestito un ristorante in piena regola con vini regionali in abbinamento, poi tanto Veneto e Piemonte e bollicine top class con Ferrari abbinate a varie stagionature di Grana Padano. Assaggio curiosa i vini di Petra di Francesca e Vittorio Moretti dalla Maremma Toscana di Suvereto, prevalenza di vitigni internazionali con tagli di sangiovese. All’assaggio anche lo stile è in prevalenza internazionale, si avverte pero’ la territorialità mediterranea della Maremma, vini morbidi ma con buona freschezza e sapidità. Il progetto della cantina è molto innovativo, la vinificazione non è meccanica ma avviene per caduta e gravità. Le zone destinate all’ affinamento in legno sono scavate direttamente nella collina. Francesca Planeta dalla Sicilia è presente solo con una straordinaria selezione di oli aziendali dalle colline di Menfi a ridosso del mare: Nocellara del Belice, Biancolilla e Cerasuola. Profumi intensi, a seconda delle varietà, note vegetali, pomodoro verde e basilico , erbe aromatiche, agrumi e ancora carciofo e banana verde Tra le golosità i formaggi del famoso affinatore di gorgonzola piemontese e oggi di tantissimi formaggi d’alpeggio italiani e stranieri, Luigi Guffanti. La cava di affinamento è un’antica miniera d’argento abbandonata in Valganna. Tanto cioccolato su tutti Valrhona e Guido Gobino da sempre partners dell’alta ristorazione.

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Francesco Sposito

Nel pomeriggio cominciano le performance dei giovani chef italiani e stranieri, colpisce il giovane scandinavo Renèe Redzepi, affrancatosi dalle influenze francofone, si è concentrato sulla cucina a base di prodotti autoctoni del nord Europa, magari difficili da comprendere per noi mediterranei, parliamo di muschi, licheni, carni di renna, alce, ostriche scandinave, olio da bacche di pino , rape ed alghe. Torniamo a casa. Dopo Redzepi è la volta del nostro Francesco Sposìto di Taverna Estìa, si cimenta in un tris Gioco, Ricordo, Emozione. Eccolo in tutta la sua brillante loquacità scugnizza, il cuoco di Taverna Estia a Brusciano, nella devastata campagna campana che non è propriamente «la costiera amalfitana, da cui dunque è doppiamente difficile emergere. Francesco ha avuto la sua prima stella a soli 25 anni, ragione sufficiente per fare di Brusciano uno dei vertici della creatività europea under 30. Lui, dice “deve qualcosa a qualcun altro: senza i miei passaggi da Passard e Barbaglini al Caffè Groppi non sarei quello che sono ora. Ma il mio ringraziamento più grande va a Igles Corelli, un maestro e mito”. Due i piatti di Francesco, un’esplosione di gusto: Frittata di uova, asparagi e pomodoro e Crème brûlée di baccalà, tradizioni in bianco e nero colorate dalla tecnica. La crème testimonia il ricordo dei suoi inizi in pasticceria, solo che lo zucchero di canna della brûlée classica è sostituito da una panuria di patate disidratate, mischiata con senape di grani.
Riparto con in testa anche una domanda posta dal grande Ferran Adrià: è giusto distruggere trent’anni di nuova cucina, giochi di consistenze, volumi, estetica e temperature, solo perché l’economia è in crisi? L’altra mia domanda è: il ritorno alla tradizione vuol necessariamente dire distruzione?

www.identitagolose.it

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