L’Aglianico del Vulture conquista la docg, la Lucania raggiunge l’Irpinia
18 febbraio 2010
Il problema del lavoro artigianale e della remunerazione industriale
Da pochi minuti l’Aglianico del Vulture è docg: c’è il via libera ufficiale del ministero. Un risultato storico per la Basilicata e tutto il Sud perché finalmente uno dei rossi più importanti d’Italia entra nella fascia normativa più importante.
Si tratta dell’ennesimo miracolo meridionale: a supportare la richiesta soprattutto gli uffici specializzati dell’Assessorato Regionale all’Agricoltura perché pur essendo l’unico vino al mondo con due consorzi sulla carta non si può dire che ci siano tracce palpabili di questo esistere oltre la sigla.
Ma in questo momento non è il caso di lasciare spazio a considerazioni grige, peraltro già esposte in precedenza: l’aspetto positivo prevale sopra oltre ogni cosa, compresa l’idea folle sul piano commerciale e della comunicazione di chiamare semplicemente Vulture la nuova docg.
Invece, come è normale che sia, lapalissiano, elementare Watson, il nuovo nome è AGLIANICO DEL VULTURE SUPERIORE DOCG con la possibilità di essere RISERVA dopo il quinto anno dalla vendemmia.
La nostra struggente passione per questo vino e per queste terre segnate dai castelli federiciani e dal vulcano squassato da una eruzione senza precedenti è appagata.
Per la prima volta, dopo 17 anni, il Taurasi ha ora un temibile competitor da affrontare ad armi pari. E non tanto sul piano della qualità perché i rossi, soprattutto a partire dal 2004, sono davvero di valore assoluto e straordinari in entrambi i territori, peraltro molto simili dal punto di vista geologico e climatico, quanto per la capacità dei territori di fare sistema.
Noi ci auguriamo che questo risultato sia da stimolo, mentre l’Anteprima Taurasi nel frattempo è il protagonista dell’ultima puntata di Chi l’ha Visto? dove sono passati anche due edizioni di BianchIrpinia.
Questi due territori, Irpinia e Lucania, insieme non raggiungono un milione di abitanti su un’area estesa quanto la Lombardia. La vocazione principale potrebbe sembrare l’export perché è impossibile per il mercato locale assorbire i circa quattro milioni di bottiglie docg e doc dei due vini.
Questa è una strada, apparentemente maestra ma anche una scorciatoia. Anzitutto perchè ci sono i mercati di Napoli e Roma da tenere sempre presenti e dove è necessario essere forti per respingere l’assedio di altre tipologie.
In secondo luogo perchè ormai da otto anni i prezzi sono in continua contrazione mentre i costi di produzione salgono. Così come l’esigenza dei consumatori. L’aspetto più difficile della produzione agricola e vitivinicola italiana in questo momento è che gli appassionati chiedono alto artigianato, manifattura, mentre il percato comprime i prezzi a livello competitivo con quello industriale.
Può mai una bottiglia di Aglianico del Vulture, o di Taurasi, fatta con professionalità, aspettare quattro anni e avere lo stesso prezzo di un Cabernet australiano?
Il problema allora è creare il fascino, raccontare la verità agricola irripetibile, far capire la storia e le radici di quel che si beve.
La docg è dunque una nuova possibilità, un’arma che però per funzionare ha bisogno dell’intelligenza. Per evitare un nuovo desencanto allora, meglio mettersi al lavorare sodo sulla verità commerciale, la ricchezza colturale e la strategia si filiera.
Chi vivrà, berrà.
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