volentieri riprendo l'articolo del direttore di Wine Meridian, Fabio Piccoli: un aiuto alle piccole cantine per l'export
Una recente indagine ha evidenziato come non vi siano relazioni dirette tra dimensioni della cantina ed export.
Quanto incide la dimensione aziendale nelle capacità di export? Se dovessimo attenerci alle risposte dei produttori da noi intervistati dovremmo rispondere "molto", se invece guardiamo i dati dell’export nazionale e la tipologia di aziende che esportano dovremmo rispondere "non vi è nessuna connessione tra dimensione aziendale ed export vitivinicolo". Ma allora come ci può essere tale differenza tra la percezione delle aziende e la realtà quotidiana del mercato?
Non è semplice rispondere ma noi ci proviamo perché consideriamo questo aspetto fondamentale per capire quali possono essere le azioni concrete per agevolare, supportare l’export enologico made in Italy.
Partiamo dal rapporto dimensioni ed export. Una recente indagine di Winemonitor di Nomisma (www.winemonitor.com) ha evidenziato in maniera chiara che non si può assolutamente affermare che "essere piccoli" è una pregiudiziale all’export.
Dai dati emerge evidentemente che per le imprese di dimensioni più ridotte (sotto i 2 milioni di euro di fatturato) è più complesso affrontare mercati emergenti come Brasile, Russia o Cina, mentre sui mercati più tradizionali come Germania, Usa, Regno Unito, non vi sono particolari differenze rispetto alle grandi imprese.
E’ chiaro che per una piccola impresa affrontare i mercati internazionali implica una forte capacità, spesso del titolare stesso, di costruire relazioni con gli importatori, promuovere personalmente i propri prodotti, insomma investire in quello che noi anche in altri articoli abbiamo definito nel cosiddetto "marketing relazionale". Per le grandi imprese più semplice strutturarsi con competenze specifiche nell’area export, finanziare analisi di mercato. Ma nonostante le differenze evidenti queste da sole non sono sufficienti per dire ad una piccola azienda del vino italiano che per lei le "porte dell’export sono precluse". Non solo, noi riteniamo che sarebbe anche un grave errore perché sta anche nelle nostre straordinarie peculiarità, spesso assicurate dalle piccole imprese artigianali del vino italiano, la forza del nostro made in Italy enologico.
Se allora, nonostante tutto questo, pur in presenza di fatti incontestabili, le imprese italiane del vino vedono nell’essere "piccole" un limite al loro sviluppo, la nostra risposta è semplice: accettiamo una volta per tutte, senza indugi, di muoverci uniti (ci sembra ormai essere patetici ad utilizzare le parole sistema, squadra), di realizzare reti di impresa per scopi precisi, di essere compatti almeno nella richiesta all’Unione Europea di rendere più semplice e meno burocratizzato l’accesso alle risorse destinate per la promozione dell’export.
Chiudiamo allora noi con una domanda, rivolta in particolare alle "piccole e medie imprese del vino italiano": ma vi siete mai chiesti a chi conviene l’enorme impatto della burocrazia sia comunitaria che nazionale per l’accesso alle risorse pubbliche? Se la risposta ce l’avete chiara siamo convinti che sarà per voi un gesto naturale "fare squadra".
*Direttore Wine Meridian
Non è semplice rispondere ma noi ci proviamo perché consideriamo questo aspetto fondamentale per capire quali possono essere le azioni concrete per agevolare, supportare l’export enologico made in Italy.
Partiamo dal rapporto dimensioni ed export. Una recente indagine di Winemonitor di Nomisma (www.winemonitor.com) ha evidenziato in maniera chiara che non si può assolutamente affermare che "essere piccoli" è una pregiudiziale all’export.
Dai dati emerge evidentemente che per le imprese di dimensioni più ridotte (sotto i 2 milioni di euro di fatturato) è più complesso affrontare mercati emergenti come Brasile, Russia o Cina, mentre sui mercati più tradizionali come Germania, Usa, Regno Unito, non vi sono particolari differenze rispetto alle grandi imprese.
E’ chiaro che per una piccola impresa affrontare i mercati internazionali implica una forte capacità, spesso del titolare stesso, di costruire relazioni con gli importatori, promuovere personalmente i propri prodotti, insomma investire in quello che noi anche in altri articoli abbiamo definito nel cosiddetto "marketing relazionale". Per le grandi imprese più semplice strutturarsi con competenze specifiche nell’area export, finanziare analisi di mercato. Ma nonostante le differenze evidenti queste da sole non sono sufficienti per dire ad una piccola azienda del vino italiano che per lei le "porte dell’export sono precluse". Non solo, noi riteniamo che sarebbe anche un grave errore perché sta anche nelle nostre straordinarie peculiarità, spesso assicurate dalle piccole imprese artigianali del vino italiano, la forza del nostro made in Italy enologico.
Se allora, nonostante tutto questo, pur in presenza di fatti incontestabili, le imprese italiane del vino vedono nell’essere "piccole" un limite al loro sviluppo, la nostra risposta è semplice: accettiamo una volta per tutte, senza indugi, di muoverci uniti (ci sembra ormai essere patetici ad utilizzare le parole sistema, squadra), di realizzare reti di impresa per scopi precisi, di essere compatti almeno nella richiesta all’Unione Europea di rendere più semplice e meno burocratizzato l’accesso alle risorse destinate per la promozione dell’export.
Chiudiamo allora noi con una domanda, rivolta in particolare alle "piccole e medie imprese del vino italiano": ma vi siete mai chiesti a chi conviene l’enorme impatto della burocrazia sia comunitaria che nazionale per l’accesso alle risorse pubbliche? Se la risposta ce l’avete chiara siamo convinti che sarà per voi un gesto naturale "fare squadra".
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