di Giulia Cannada Bartoli
Fino al Trecento, nei ricettari non v’è traccia della parola “polpetta”. La prima apparizione avviene nel secolo XV, grazie al Libro de Arte Coquinaria di Maestro Martino, cuoco dell’allora Camerlengo Patriarca di Aquileia.
Pellegrino Artusi, nel suo ben noto manuale La Scienza in cucina e l’Arte di Mangiar bene ( 1881) così ci presenta le polpette: «Non crediate che io abbia la pretensione d’insegnarvi a far le polpette. Questo è un piatto che tutti lo sanno fare cominciando dal ciuco, il quale fu forse il primo a darne il modello al genere umano. Intendo soltanto dirvi come esse si preparino da qualcuno con carne lessa avanzata; se poi le voleste fare più semplici o di carne cruda, non è necessario tanto condimento. Tritate il lesso colla lunetta e tritate a parte una fetta di prosciutto grasso e magro per unirla al medesimo. Condite con parmigiano, sale, pepe, odore di spezie, uva passolina, pinoli, alcune cucchiaiate di pappa, fatta con una midolla di pane cotta nel brodo o nel latte, legando il composto con un uovo o due a seconda della quantità. Formate tante pallottole del volume di un uovo, schiacciate ai poli come il globo terrestre, panatele e friggetele nell’olio o nel lardo. Poi con un soffritto d’aglio e prezzemolo e l’unto rimasto nella padella passatele in una teglia, ornandole con una salsa d’uova e agro di limone».
A Sua Maestà La Polpetta la Chef Patronne di Napoli Mia, Antonella Rossi, in collaborazione con Slow Food Napoli, ha dedicato un evento ad hoc: “Polpettica, viaggio da Napoli a Beirut, passando per Matera. Un menù itinerante che è partito dallepolpette vegetali di melanzana su riduzione di patate allo zafferano,
a quelle di cavolfiore su salsa di papaccelle.
Sapori nostrani, sapientemente rielaborati. Dalle polpette vegetariane si passa al pesce azzurro: polpettine di alice con caponatina profumata al timo;
ritorno alle origini e alla cucina degli avanzi con le polpette di pane al pomodoro, ricetta “materana con cacio ricotta e pomodoro”;
ed ecco entrare la tradizione, la regina: ‘a purpetta napoletana, bella, grande, calda, cotta nel ragù, con tanto di passi e pinoli, accompagnata da una forchettata dei primi “friarielli” di stagione.
Restiamo nel Mediterraneo per una fermata medio – orientale in Libano con “kibbè nayè” (cruda con grano, noci, pinoli e spezie)
e Akras al Kibbè al –maswiyya alla griglia ( sfoglia di carne e grano con ripieno di carne e spezie, con insalatina verde e chicchi di melograna). Si chiude con Kerala ( Stato dell’India Meridionale) Cutlet con salsa piccante (una polpetta schiacciata di verdure e chili).
I vini della serata: Falanghina Krai 2011 igt beneventano, Notàro Piedirosso 2011 igt beneventano e Krè Aglianico beneventano igt 2010 della cantina Meoli di Dugenta.
Di buon corpo e profumi la falanghina, con una bella freschezza, ci ha accompagnati fino alle polpette di pane; dalla carne in poi, abbiamo abbinato in sequenza piedirosso e aglianico; quest’ultimo, un gradino più su del piedi rosso, con note di prugna matura e amarena e discreta speziatura, ha sostenuto bene le versioni etniche della polpetta. I pani, focacce al pomodoro e rosmarino e il “ pappadam tipo di pane indiano lavorato con farina di lenticchie verdi,”sono stati preparati da Antonella Rossi. Il cibo è stato raccontato da Giustino Catalano e da Raffaella Fortunato, organizzatori della bella serata.
In chiusura dolci di stagione, piccole meraviglie by Antonella Rossi: piccolo cannolo di ricotta, crema di castagne e “petite finanziere”.
Il caffè è stato offerto da una piccola azienda artigiana di Bacoli (Na), Caffèdelizia: miscele del centro e sud America, tostate a legna, secondo l’antico rituale napoletano, di edoardiana memoria, che si ripeteva ritualmente una volta la settimana e, vista la pazienza richiesta per l’operazione, era sempre affidato al nonno di casa, il profumo si spargeva per i vicoli…
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