Il primo post della mia nuova rubrica su www.lucianopignataro.it
23 settembre 2010Napoli, si sa, è la patria del cibo di strada da diversi secoli, l’uso di mangiare con le mani, la pizza, piuttosto che i maccheroni, risale ai tempi dei Borboni. La città è disseminata da sempre, oggi molto meno, di queste “camere da pranzo” familiari, aperte al pubblico, i cosiddetti “Vini e Cucina”, trattorie e osterie alla buona, magari nate come semplici mescite di vino sfuso, alle quali la buona volontà delle mogli o delle nonne dei vinai aggiungeva qualche piatto caldo, come la pasta e fagioli o i maccheroni al pomodoro. A Mergellina, più esattamente a Corso Vittorio Emanuele, da oltre 50 anni ha sede il Vini e Cucina della famiglia Moccia.
Il luogo più sicuro dove impiantare un’attività era a quei tempi la stazione ferroviaria non considerata zona di seconda scelta, ma crocevia di andirivieni continuo e quindi ottimo posto per il commercio. Entro e con grande semplicità, Michele Moccia e suo figlio Alessandro mi fanno segno di accomodarmi ad uno degli otto tavoli del locale. L’ambiente, come il servizio, è semplice, tovaglie a quadretti di carta, cestino di pane “cafone” (buonissimo) e posate nel cestino con tanto di coltello a seghetta di quelli che si usano in famiglia. Il locale è frequentato da impiegati e professionisti della zona a pranzo e da clientela affezionata la sera e la domenica. Molti si conoscono, le chiacchiere volano da tavolo a tavolo, con la televisione rigorosamente accesa:). La cucina è quella napoletana della tradizione. Ai fornelli la moglie di Michele, Anna e in sala il figlio Alessandro. Il menù non esiste, solo piatti del giorno. Il bancone di antipasti e secondi, come la micro cucina di Anna, sono a vista: molte verdure,secondo la storica nomea attribuita ai napoletani , ” i magnafoglie”. Peperoni in padella, peperoncini verdi al pomodoro, verdure grigliate, “friarielli” , e poi il pesce fresco del giorno che Alessandro, responsabile della spesa quotidiana, seleziona da fornitori fidati: pesce spada, alici, aguglie, qualche orata o spigola, tonno fresco, frittura di gamberi e calamari, e il baccalà che non manca mai. I primi sono sempre non meno di cinque o sei: spaghetti alla vongole, pasta e fagioli, pasta e ceci, bucatini spezzati con la zucca, gnocchi alla sorrentina. La domenica a pranzo, sartù di riso, “pasta al grattè”, pasta al forno con le melanzane, “gattò di patate, lasagne, la mitica “genovese” e il classsico ragù con gli ziti spezzati.
I secondi di carne sono altrettanto casalinghi: la carne alla pizzaiola, le scaloppine, le salsicce, la “braciola” che a Napoli è la tasca di vitello piuttosto grande, farcita con uva passa, pinoli, aglio, prezzemolo, uova, pecorino e poi cotta nel sugo di pomodoro. Anche i dolci sono quelli storici napoletani, fatti in casa da Anna: la torta caprese, il babà, la pastiera, il tiramisù, la millefoglie crema e amarene. I piatti sono senza fronzoli, non untuosi, una cucina pulita che non ti distrugge il fegato. Per il vino, come spesso in questi posti, è lo sfuso che la fa da padrone, qui arriva da Gragnano. Volendo c’è un picola scelta di bottiglie campane a prezzi davvero umani.
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