Ovvero di un viaggio letterario, culturale ed emozionale nelle parole della cucina italiana dai banchetti rinascimentali alla cucina moderna.
di Giulia Cannada Bartoli
Nonostante il titolo questo libro non è un testo di cucina ma, un viaggio nella lingua italiana che si confronta con l’aspetto culturale della cucina. Un testo che apre i sensi del lettore ad una conoscenza approfondita della variegata poliedricità della nostra cucina. Misticanza significa mescolanza in un lento alternarsi di colori e sapori che non è mai uguale a sé stesso, così il libro di Gian Luigi Beccaria – storico della lingua e critico letterario – ripercorre in un movimento continuo il territorio italiano nelle sue innumerevoli ricette e tradizioni che mettono in luce quanto per noi il cibo, oltre al gusto, rappresenti una vera e propria celebrazione del piacere.
Parlare di cibo, di ricette, di tradizioni culinarie è arte non facile, in particolare se non si possiede una buona dose d’indispensabile background culturale e agricolo che rende fantastica, ad esempio la descrizione di Calvino di una Charcuterie parigina sotto le feste, il Museo dei Formaggi o la bottega di un macellaio: “ Si succedono il rosso vivo del bue, il rosa chiaro del vitello, il rosso smorto dell’agnello, il rosso cupo del maiale.
Avvampano vaste costate, tondi tournedos dallo spessore foderato d’un nastro di lardo, controfiletti agili e slanciati, bistecche armate del loro osso impugnabile, girelli massicci e tutti magri, pezzi da bollito stratificati di magro e di grasso, arrosti che attendono lo spago che li costringa a concentrarsi su sé stessi, poi i colori s’attenuano: scaloppe di vitello, lombate …” in queste pagine il cibo dimostra anima, forza vitale, la fonetica dà l’idea della bontà e del gusto. Le parole del cibo servono a riassaporare, i ricordi di profumi a stimolare memoria olfattiva ed emozioni.
La pubblicità moderna ha imparato bene questa lezione per far passare messaggi seduttivi di prodotti industriali, finti, colorati, gonfi d’aria, il nulla. Ahimè anche certi menù troppo pittorici e poco esplicativi fanno volare la fantasia dei commensali verso luoghi inesistenti o poco comprensibili. Esilarante ( pg 38 – 39) la storia del linguaggio degustativo del vino nato con Sante Lancerio, il Bottigliere di Papa Paolo III. I linguaggi adoperati evocano le origini e i luoghi del cibo e del vino, riportano direttamente ai territori di provenienza, mettendo in relazione passato e presente.
La scrittura ha poteri straordinari, consente di sorseggiare due volte, riassaggiare un piatto, come se le parole Ri- materializzassero il tutto, quasi alla moviola. E vogliamo parlare del grande Eduardo de Filippo quando in “Sabato, Domenica e Lunedì” fa svelare a donna Rosa i segreti del rito del ragù napoletano?
E poi il sogno che parte dalla fame dello stomaco: “Navi cariche di pane e di carne, fontane che sgorgano vino, la casa di marzapane…”.
Da sogno a simbolo di comunanza e fratellanza. Il cibo protagonista dei famosi banchetti della storia, il convivio, il mangiare e bere insieme, scambiandosi idee, esperienze, tesi intellettuali, odi e canti. Silenzio e tristezza non si adattano al convivio, meditare da soli su un cibo o un vino non va bene, non è sociale. La vita di oggi però ha un nemico difficile da combattere: la fretta, s’ingurgita, non si gusta, e per di più si ingoia tristemente, mentre convivio e lentezza inducono alla socialità e all’allegria. Il vino scioglie la lingua e scaccia la malinconia, in vino veritas…
L’attitudine verso il cibo attraversa nella storia e nella letteratura fasi alterne, a seconda del momento storico e della religione dominante. L’altra dicotomia storica costante, oggi più attuale che mai è il conflitto tra naturale e manipolato, genuino e artefatto, autoctono o globalizzato. Il cibo contrassegna, o, dovrebbe demarcare l’identità e le micro differenze sia nell’uso delle parole che nella pratica culinaria, in una parola, esaltare la biodiversità. Persino nel pane, il cibo comune a tutti i popoli, ricchi e poveri, le differenze si ritrovano tra paesi, ma anche nell’arco di pochi chilometri. Altra pietanza dei poveri, lo street food oggi di gran moda, ossia, il cibo di strada, nato parecchi secoli orsono, diverso da regione a regione, insieme alla cd. cucina degli avanzi dettata dalla necessità di cibo (pg.128). in effetti, la fame ha segnato e tristemente segna la storia dell’umanità. La fame aguzza l’ingegno si dice ancora, allora i poveri andavano alla ricerca di erbe, bacche e quanto altro di commestibile, oggi, rovesciati i rapporti almeno in gran parte del mondo occidentale, sono gli chef stellati ad avventurarsi alla ricerca di cibi antichi, erbe introvabili, legumi selvatici, etc. l’Italia del cibo è uno dei paesi più ricchi sia dal punto di vista delle varietà, che da quello delle più fantasiose descrizioni lessicali: come la nostra “scazetta del cardinale”, dolce a forma di papalina coperto di gelatina alla fragola.
Interessanti tutte le espressioni idiomatiche mutuate dal linguaggio del cibo: “Essere della stessa pasta; spartirsi la torta; quel che bolle in pentola; finire a tarallucci e vino; non poter digerire qualcuno; tanto fumo e niente arrosto; prezzemolino ogni minestra; lasciar cuocere qualcuno nel suo brodo; restare a bocca asciutta e tanti altri.” E ancora le ingiurie alimentari tra gli abitanti di una città e l’alta: “ i napoletani mangia maccheroni; i bergamaschi mangia polenta; i calabresi pìzzula-fichi etc…”.
Insomma un dotto ma, non saccente mosaico dell’Italia gastronomica, intriso di storia, curiosità lessicali, tradizioni popolari, da leggere golosamente in pigro relax, dovunque vi sentiate in vacanza fisica e mentale, la vostra fantasia vi trasporterà in un vortice di sapori, ricordi, profumi e piaceri. A me è successo. Buona lettura.
Gian Luigi Beccaria. Misticanze. Parole del gusto. linguaggi del cibo . Garzanti. € 15,00
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